Se dopo l’arché, un qualsiasi perciò dovesse attenersi a fatti morali, ne deriverebbe, qual’evento primo, la mai superba dignità, e se quest’ultima si proponesse di regnare come imperativo di fine universale, ne scaturirebbe una legge.
L’unico dovere, al quale l’uomo sarebbe chiamato per obbedire ad essa, risulterebbe una massima, ed invero la ferma volontà di manifestarla in principio. E che perciò fosse, in natura, una legge universale.
Seguendo quella legge, l’unica sottomissione a cui l’uomo dovrebbe substare, in primo luogo e per ogni tempo, sarebbe, innanzitutto, effetto e causa dello stesso piacere che, in quanto tale, mai conoscerebbe alcuna metamorfosi.
Dunque tale legge equivarrebbe per ogni singolarità all’essere felici.
Il luogo di sapienza non invecchierebbe l’uomo e il tempo della felicità non sarebbe solo Altrove.
– 2007 –