Maledetto l’uomo che confida nell’uomo – Geremia (17, 5)
Non vi è opera più meschina per un uomo che schiavizzare un suo simile. Non troverà giustificazione quando sarà chiamato in giudizio.
Un tempo non lontano, in un paese non molto distante, abitava in un grande casale un signore il quale aveva alla sua mercé quattro servi.
Un giorno, mentre tornavano dai campi, colpiti da un lampo in una giornata di pieno sole, tre di essi morirono folgorati. Pensò il loro padrone: non avrò scampo davanti alla gente né sotto al cielo, poiché potevo concedere loro la libertà e non l’ho fatto, potevo sfamarli col giusto e mai questo è avvenuto.
Scaltro, l’uomo dunque pensò bene a quale migliore azione gli avesse salvato la vita. E la sua mente andò subito al suo ultimo servo, che quel giorno era rimasto a letto poiché dalla febbre alta provato.
Ma mentre pensava ciò ecco che una voce gli piombò nel cuore, come nemmeno quel lampo avrebbe potuto fare. Stolto e meschino, credevi di salvare la tua vita liberando un tuo simile dalla tua oppressione quotidiana. Ebbene tu, tardo pure di cuore, prima che io cessi di parlare vedrai la morte folgorarti con tutta la desolazione che hai meritato. Prima però dovrai accettare il senso della tua condanna. Nessun uomo può sentirsi libero di liberare un altro uomo poiché questi è il provato da Dio, che ne è padre. E tu, che ti sei voluto fare padrone, senti adesso che il tuo respiro febbricitante è anch’esso provato? Non ebbe modo di rispondere quell’uomo che già la morte gli aveva restituito il conto, tanto da estirparlo anche del nome.
E così sarà per molti. Dunque, chi tanto più si sente grande, più si faccia piccolo davanti al suo prossimo e quindi a me. In verità, tanto più piccola sembrerà ai suoi simili la sua rilevanza in questa vita, tanto più grande sarà la sua ricompensa nel Regno dei Cieli. E il suo nome sarà per me grande, in quanto figlio mio e amato mio erede.
(15/11/2017)