Non era una connessione di dati provenienti dall’interno e atta a procedere dal futuro al presente e viceversa. Tutt’altro. Era, invero, una condizione definitiva della personalità che rendeva la mia capacità d’essere un frutto ancora acerbo, legato sui robusti rami dell’albero della piena veggenza, e tale elemento non apparteneva né all’uomo, né alla terra.
Un dono proclamato dallo stesso sublime alla mia netta infanzia, grazia che lasciò dentro le chiare tonalità dei miei più reconditi pensieri un segno maturo al perenne.
Conobbi la facoltà di estrapolare, a nuda visione, dei potenti le loro fatue menzogne che in modo grave li proiettavano in fasi oniriche pronte a confessarsi per il loro completo disagio nel lividissimo compimento. E come spesso accadeva, in quel tempo logoro non diverso dall’attuale, questo comportava in me, nei miei compagni, disfacimenti momentanei atti a ledere e a compromettere troppe volte la nostra esistenza.
Ciò mai avvenne, per opera di chi pose a suo compiacimento le nostre anime sopraelevandole allo stesso mistero, e la nostra missione fu portata degnamente a termine poiché alla grazia ci accompagnò la stessa grazia e alla fede la fede nella fede.
Ecco. Questo è quanto l’ora vi precede non per condividere fatti storici, bensì perché sappiate trarre dal vecchio il nuovo.
(18/01/2021)