«Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito.» (Zc 12, 10)
Ho tanto desiderato amarvi fino alla fine che ho lasciato recidere in ogni traguardo disumano le mie vene ancora calde nel sentimento profondo. Oh Scrittura che tutto predici e che dell’uomo nella carne del Figlio hai sigillato e porta e via, ecco che l’abisso costituisce sostanza innanzi all’anima, a questo spirito che, prim’ancora di strappare il soffio della vita sulle mie labbra, digià si è posto in dimora nelle variabili ospitate dall’estemporaneità dei corpi attraverso le potenze espresse sulle creature in subordinazione dei principati e delle loro missioni. E come il giorno al giorno spande unione e non separazione così io, dall’alto di una croce che m’inchioda alla Pasqua, dapprima erigo l’espressione del Padre mio contro il simbolo di colui che al mondo si rappresenta come serpente e successivamente, vinta la croce e, dunque, il male, attiro l’umanità a me, partendo da coloro i quali mi hanno trafitto. E sangue ed acqua scaturiscono da questo costato squarciato per amore del Padre, fonte di quel battesimo e di quel cibo sacramentale che unirà ogni essere che ne avrà fame e sete a me. Ed ecco. Morte, dov’è la tua morte? Nell’unità raggiunta con i miei figli, espressione di Vita per tanto amore incarnato.
(11/06/2021)