“Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti”.
(Is 6, 5)
Non avevo più pace. Non sentivo più vita. Non accoglievo, in me, quel respiro che da prima che fossi s’era fuso al Padre. O nostalgia dell’essere, o esplosa dissezione dell’attimo. Chi mi vide stare al macero della sensazionalità, caduto ormai bocconi, non era un mio simile, no. Era elevata espressione di quello spirito che di lì a poco fece rientrare ogni forza in me. Io, uomo dalla impura bocca, fui preda del grande spavento poiché saggiato dallo splendore della prova e dalla infallibile schiera di tutti i fenomeni attribuibili a chi li aveva concepiti. Quel mio dissimile, quella forma estrema di spirito e amore mi diede a bere con un carbone ardente la fonte della purità. E così ebbi a nascere nuovo, senza macchia sulle labbra, senza colpa tra le mie parole. Sebbene credetti d’esser stato io a chiedere di essere mandato, uomo tra gli uomini, a genie di ribelli e generazioni dalla dura cervice, ebbi subito a ricredermi. Ero nel seno del Padre, assieme ad ogni parola che da quel momento sarebbe fuoriuscita dalla mia bocca, prim’ancora che io fossi generato, allattato dalla sua verginità.
(23/09/2021)