(Gv 6, 60; Mt 21, 42; Lc 17, 10)
Severa è questa parola. È come una pietra dove in tanti, ivi inclusi noi, inciamperemo per una medesima dannazione. Forse non potremo esserle fedele né contenderemo con altri ogni desiderio di sottometterci a lei miti, poiché siamo coloro che l’hanno ingoiata cruda ed ora la nudità dei nostri pensieri ci crea un senso di vergogna, opprimendo il petto dell’anima che in noi ancora, tuttavia, sussiste, per quel mistero d’infinita bontà che giammai ci appartenne e che ancor’oggi, fuoco che le nostre ansie provate da cotanta iniquità va purificandole, smarca questi sempre più blandi pensieri indaffarati con la mai sconfitta morte. Non ci resta che andare via, lasciando al caso la nostra sorte non più destinata in esilio. Oppure di rimanere in lei, la nuova parola, la severa, rimettendo in colui che la proclamerà con giustizia e giudizio, con mansuetudine e autorità, il nostro spirito quando al termine della nostra esistenza terrena, compiuta in tutto la sua volontà suprema, potremo addormentarci coi nostri padri, servi inutili come noi, nella più attesa tra le veglie per risorgere dalla pietra, vita.
(29/09/2021)