Ebbi fame di vita, di luce e, soprattutto, della sua voce.
Ripudiato dalla nascita, nella costanza del dolore e della vergogna, privato ad ogni effetto salvifico della mia dignità, non avrei mai pensato che avanti a me sarebbe passato colui che avrebbe potuto decidere non la mia sorte fisica ma, piuttosto, quella della mia anima, restituendola agli antichi suoi fasti, al principio del suo avvenimento voluto in trino ed unico albore. Abbi pietà di me, figlio di Davide, abbi pietà di me. Chissà quante volte la gente che non solo mi aveva sfiorato con la mano avara di gioia, di amore, sentii urlare il mio dolore, la mia sete, tentando di lasciare in essi la prova, lo scampolo, la briciola dell’essenza di una miserabile, per me, compassione. Urlai più forte. Io lo sentii dentro i miei occhi già in festa, entro l’anima mia in fiamme, era lì colui che stava cambiando la mia esistenza senza nemmeno che io lo sapessi, e che aveva da sempre cambiato il nostro pensiero, il suo mondo. Lui che del mondo non era, fu per chi da esso venne scacciato. Mi ordinarono il silenzio e non ottennero null’altro che il mio grido innamorato e sempre più elevato a quel maestro: Figlio di Davide, abbi pietà di me. Inconsapevole, ero nato affinché attraverso di me nel nome del Figlio si manifestasse la gloria del Padre. Sì. Io riebbi la vista, quella medesima vista che del battito già pervenne al cuore, un cuore che subito corse dietro alla mia guarigione per giungere alla redenta fiamma inudibile della consumazione del Regno.
(24/10/2021)