«Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: “Dì, chi è colui a cui si riferisce?”. Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”.» (Gv 13, 23-25)
Ad uno ad uno, senza risparmiarsi, perché nei nostri cuori si affermasse l’amore puro, quello incondizionato, che ordina tutte le cose nell’universo e che non ritorna nel cuore del Padre prima che abbia avuto pieno effetto. Una colorata sera, tuttavia buia e non sempre quieta, si deformò sulle nostre labbra, quando non riuscimmo a baciare il fondamento del perdono. Dopo aver reso grazie, dopo essersi donato nella sua regalità in corpo e sangue in quella nostra prima Pasqua, salmo e antifona del più grande mistero, ci amò fino alla fine. Noi, così uomini ai suoi occhi da non apparire nemmeno indegni nelle nostre intaccate membra, finimmo di comprendere il suo gesto martoriato, di vivissima grazia, solo quando ci fu dato di sapere il comandamento nuovo, quello che ci avrebbe proiettato nel mondo con cuore nuovo ed occhi rinnovati. E così fummo mondati, proprio per essere i di noi servi, gli innamorati e gli inviati. Di lì a poco si diradò la sera nei suoi colori e il buio appesantì la quiete informe. Posai sul suo petto il mio capo, come un figlio sul ventre della madre, e da quel momento la mia esistenza non appartenne più a me stesso. Con uno smisurato dolore, per l’abbandono, per il tradimento, per il rinnegamento dei suoi amati, lo vidi andare incontro alla passione del suo calvario. Pure io tacqui.