Figlio mio, come sul bene e sul male, ho indagato più a fondo sui principi della stoltezza e sulla scienza della saggezza. Io ti offro il nettare delle mie riflessioni, affinché tu effettui, quando l’ora ti sarà favorevole, congrua e adolescente, la tua libera scelta.
Che io possa, quel giorno, sentire l’effluvio amato della tua benedizione. Alleluia.
Il silenzio dello stolto vale molto più di quello del saggio.
Ovviamente per lo stolto.
La stoltezza possiede, come per le gambe, tre bocche.
Mattino, mezzodì e sera. La notte il suo enigma.
Lo stolto quasi sempre teme di temere. Il saggio di tutto questo nutre una superflua paura.
Il saggio quando apre la bocca discorre nel respiro.
Lo stolto invece mangia parlando. O viceversa.
La stoltezza si vanta di aver sempre ragione, anche quando la cede al suo prossimo. La saggezza, invero, doma il suo vanto per quell’apparente, esuberante letizia.
Uno stolto non vale più della sua guida. È come un frutto sordo che lascia il suo albero muto prim’ancora di maturare. Al contrario, il tonfo del saggio è l’esatto inverso. Elevazione.
Lo stolto possiede tutto ciò che lo possiede. Il saggio, nulla volendo, riceve molto per la sua buona pretesa.
La saggezza cammina ferma. La stoltezza corre e mai da sola.
Il saggio frequenta di rado e, se indispensabile, preferisce le grotte del lutto, consolidando l’egemonia di una futura gioia. Lo stolto aborra la solitudine, non disprezzando chi versa lacrime per la stessa stoltezza né per chi ne gioisce.
La saggezza non chiede mai. La stoltezza si risponde da sé.
Figlio mio, cerca la saggezza ed essa ti cercherà per renderti felice della sua felicità. Fuggi la stoltezza, anche quando è apparecchiata con le pietanze migliori. Meglio guardarla e se ne hai improvviso appetito mettiti un coltello alla gola, poiché la sua fossa non porta il suo nome e nemmeno gli appartiene.