Non voltare il tuo sguardo sul sangue che non ti appartiene. Il suo fetore, ecco. Per i campi oriundi esso esala il suo viavai, il loro andirivieni, senza fare più ritorno sulla terra dei viventi. Perché piangi, o uomo dal passo diventato espressivamente veloce, nel tuo sapere, nel tuo udire, nel tuo vedere, e più non parli, e più non taci, come un silenzio senza silenzio unito alla parola senza parola in una voce annichilita ed esaltata tra corde vocali arrese e vibranti, vibranti e accese? Figlio mio, non sono forse io che dovrei emettere un lamento, e non sono sempre io colui il quale dovrebbe piangere per tanto scempio? Pure la desolazione è stata martoriata. Anche se il mio cuore geme e impazza, io più non mi commuovo. Non apprezzerò alcun sacrificio umano, mi risulterebbe vano. Il mio gregge non è più al suo pascolo, troppi caduti, troppi esiliati, troppi deportati. Un po’ su è un po’ giù. Un po’ di qua e un po’ di là. Guarda. Guarda come la fame di potere raggiunge i suoi obiettivi e la sete di vendetta non si placa nella gola dei soliti sicari. E ancora. Osserva la fame di chi vorrebbe un pezzo di sudore avariato per sopravvivere, un sorso di fiele per continuare a respirare, guardando i suoi piccoli e sperare, sperare che la morte sia un privilegio che spetti soltanto ai grandi e amarli nel pianto per continuare a sperare. No. Non mi consolare. Non pregare per essi. Non mi giungano suppliche come olocausti a me sfavorevoli giacché ogni olocausto ha per me sempre di più un odore infame. Io, ecco. Io sono, oggi, come una donna che ha recato alla luce ombre che bevono il sudore dei morti e che mangiano il respiro dei cani.
(05/05/2022)