Ti ho tratto dal seno dell’aurora e nelle sue umide fasce
ho avuto sete da bere e fame da mangiare.
Le età che stillavano gioiose sui passi rugiadosi del mattino
più non m’appartengono.
Ho lasciato che l’anima tua restasse, per un giusto presente,
nell’esilio di un mondo di se stesso schiavo,
in un sepolcro misurato col sangue del mio debito corpo,
con il corpo del mio sangue alleante.
La tua voce, nuziale promessa nei miei pensieri,
è il seme antico e nuovo della mia volontà creatrice
che schiude le timidezze non più distanti di una favolosa terra
preannunciata dopo di te benché fosse,
nel tuo luminosissimo diminuire, prima ed ultima.
Ritornerai come brezza che si unge nella neve,
i deserti giubileranno nei riflessi delle argentee pietre
irrorate da quella luce che il mondo non volle conoscere
poiché distante da qualsivoglia forma di appartenenza.
E ultimo, nel seno verginale della tua sete e della tua fame,
rinvigorirò, una dopo l’altra,
tutte le stagioni trascorse sui passi rugiadosi del mattino
per abbreviare i tempi stillati da ogni tua parola
affinché mi compia, io,
con l’amore di quell’aurora che ti ha desiderato suo, amore,
e con la forza che appartiene soltanto alla nostra gioia.
(23/06/2022)