Dirvi.
Ed in quale linguaggio
se la vostra parola
non supera
la vostra medesima giustizia
che pure si presenta
come una palude
mossa dal vento della vanità
e invasa dai flutti della vanagloria,
qui, sulle sponde
di un lago manomesso
dalla furia delirante degli uomini,
a notte inoltrata di una storia
che pasce i suoi misfatti
ad un tiro di sasso dalla vergogna
e dalla consapevolezza che,
ciononostante,
ne contraddice un impietoso riscatto
nell’epopea fallimentare della memoria?
La rana svelena i suoi girini
e la trota saltella nella sua fame d’aria
e non più tra le ben fredde acque.
Eppure la dignità che le manifesta
surclassa la benevolenza
che l’uomo dovrebbe contrarre
dapprima
presso la pratica
dell’esercizio dei suoi sentimenti e invero,
poi, verso la più elementare forma di bene,
di socievolezza, di relazione sincera.
Ma tutti costoro
hanno ben dimenticato
la loro provenienza,
donde provengono
e dove la loro parola,
che nemmeno supera
la loro stessa ingannevole giustizia,
vorrà meticolosamente filtrarli,
tra l’affamata aria di un male
che non concederà
occasione alcuna di rimprovero
e in quello stagno,
dal morso inferocito
e al tempo lugubre,
ove avverrà la fioritura del mio germoglio,
al settentrione del nostro volere
e ad un tiro di sasso da Gerusalemme,
trono, porta e tempio
di quella pace senza ritorno,
della vittoria senza tramonto.
(04/07/2022)