Prima di potare le sue acerbe rose e di rafforzare l’opera dei suoi pregiati vitigni il Signore mi colse dal seno della rugiada e con il suo spirito volle abitare una carne, Egli che di tutte le cose è pura essenza, anelito e amore, creato e creatura, sostanza e vittoria. Mi hai reso un prodigio prim’ ancora che rendessi all’uomo la vita e alla vita una voce. I miei giorni sono così divenuti eterni dinanzi ai tuoi occhi, il mio volto si è fatto prossimo all’infinito e per essere dimora piena della tua volontà mi sono trasfigurato d’essere per poter adempierla, abitando una croce, ed essere così sfigurato. Padre, il mio nuovo cantico di amore era semplicemente il tuo, il mio dolore ti apparteneva totalmente, la mia morte era in quella carne che tu volesti abitare. Tu, il compassionevole e il misericordioso, l’unico, per redimere una umanità divenuta seguace dell’ingratitudine ti sei lasciato denudare della stessa umanità per la salvezza del mondo, quel tormento antico che mai si stanca di rinnovare le sue promesse al male dimenticandosi di quella alleata pace che lasciasti fiorire prima che lo stesso mondo fosse, ad acerbo vitigno. Lascia, o Padre, che io rafforzi l’opera delle tue mani. Sì, possa io potare le acerbe rose nelle rose acerbe per levare ora e per sempre l’onta dal tuo giardino in nome di quella rugiada che mi diede natali e respiro, adesso, proprio adesso che l’ora va sanguinando nella sua corona di spine. Che l’occhio mio donato ai ciechi sia luce viva dinanzi a questa generazione, il piede donato allo zoppo tracci i miei passi sul monte alto della tua parola e i poveri riconoscano te in me e me in te, Padre, prima che la cicala estasiata si versi nei cieli del nuovo.
(27/09/2022)