Nel secondo mese, il ventitreesimo giorno del mese, del ventiquattresimo anno della duemillesima età, alla quindicesima ora di una storia già scritta, la parola del Signore è scesa su di me, al quarantanovesimo anno, in questi termini:
Monete.
Innumerevoli monete fuoriescono,
furibonde, dalla tua bocca,
in sostanza ora liquida,
adesso solida,
mentre il disgusto
per chi ti osserva
è del tutto nascosto
poiché tu incuti terrore
a tutti i popoli
sottomessi ai tuoi gioghi di potere,
di vendetta, di corruzione.
Non sono da meno le tue sorelle,
anzi.
Esse dettano il ritmo,
danno consistenza,
immettono valore aggiunto.
Il raccapriccio
velato negli occhi dei poveri
è sterminato alla nascita:
non difficilmente si deduce
che sei l’inflazione della morte.
E quale morte!
Ti piace coprirti il volto,
i capelli,
e come ornamento per il tuo corpo
usi solo
petrolio e preziosità derivanti
dai più incestuosi giacimenti.
E mentre vomiti danaro
a destra e a sinistra
vai cantando
la nenia delle bambole.
Idolatra!
Esattamente con lo stesso fare
delle tue sorelle
ti vanti
mentre affondi la mano armata
nel petto indifeso
delle più belle favole.
Eppure tu sei diversa.
Non hai collocato nulla
più in alto della tua sete di presenza
se non gli stessi soldi,
fiumi e mari di monete
e montagne di leghe,
oro, argento e bronzo.
Nei rituali da mercato
lasci bruciare incenso
per quei cadaveri
che proprio tu
hai comandato di far morire
un po’ dovunque.
Il tuo fetido letto
è la madre di tutte le borse
così come il mondo
è diventato il cantiere aperto
a tutte le tue opere
da ben distribuire
tra cerimoniali da battaglia
e ciminiere.
Ah, i tuoi perfidi amanti!
Ti tradiscono pur sapendo
che una è la fine che li attende.
E tu provi piacere,
un piacere sadico nel sapere,
nel vedere,
nel provare fino in fondo
il tradimento di chi hai scelto:
d’altronde
ciò che più conta per te
è il loro denaro.
E prim’ ancora,
genia di stolti e di ribelli,
la loro soppressione definitiva
attraverso le più monitorate,
atroci morti.
Ma ecco,
così dice Dio, mio Signore, l’Onnipotente:
Io ho programmato da tempo,
che nemmeno il tempo
potrebbe calcolare,
la più buia notte per te,
o maliarda delle maliarde
che mentre canti e danzi,
a bocca inumidita dalla ruggine
e dal catrame,
lasci morire i sogni e i giorni
di popolazioni inermi.
Tra la destra e la sinistra
io farò brillare i polsi
di chi muove i fili
e tesse le trame
in ogni istante, per te.
Io stesso
radunerò il capro e l’ariete
dal settentrione e dal mezzogiorno,
e la benevolenza si dimenticherà di te,
dei tuoi sentieri, dei tuoi amanti,
delle tue sorelle.
Ma non del tuo vanto.
Lascerò che la tua bocca
si lavi dapprima nella pentola
dove hanno lottato il capro e l’ariete,
e la tua immonda saliva
scotterà di quel sangue
a me promesso
come olocausto vivo e puro.
Sarai per un istante indorata
dal sole del mezzogiorno
il quale come un fascio d’issopo
ti setaccerà per intera.
Per un brevissimo lasso temporale
ti farò vagabondare lenta,
come una lumaca,
e con la bava agli occhi
lascerai tracce
della tua condotta secolare
ovunque io voglio
che si putrefaccia il terreno
che con le tue lordure,
i tuoi malaffari, hai reso immondo.
Infine prenderò la verga del mio pastore,
che tante volte è stato vilipeso,
schernito, torturato, ammazzato
e con esso ti indicherò
la via delle mie tre vigne sacre.
Lì, alla vigilia del mio passaggio,
davanti ai popoli di tutte le nazioni
io mostrerò il mio volto
nella palingenesi della innata unione
della vigilanza con la mia parola.
Così,
come si spalancheranno le porte
delle mie tre vigne,
sarai trafitta dai tuoi stessi tesori
e resterai legata
a ciò che da sempre
hai voluto legare a te,
o errata.
L’occhio mio
muove la terra di chi mi teme,
fa sobbalzare i fiumi
e lascia che i suoi pesci
ingoino il mare
con chi lo abita.
Ecco.
Come agnello immolato,
con il suo amato sangue
che gronda fresco
sulle terre a me care,
io elevo e abbasso
questo ramo di mandorlo
il cui fiore è preparato
per olezzare una messe ormai pronta,
matura.
In quel giorno
i popoli tutti
vedranno una cosa mai udita prima
e ascolteranno ciò che mai è stato veduto
e i campi, sì, saranno i campi di grano
a battere le mani per me
e da esse cadranno le nazioni
come trapassato pulviscolo.
L’ira che mi hanno procurato
io giuro che la riverserò come velenoso sdegno
nei calici più infami che le stesse nazioni,
già da lungo tempo,
si stanno contendendo,
poiché la mia bocca,
la bocca del Signore degli eserciti, ha parlato.
(23/02/2024)