Inizia in noi la primavera
come il più ampio bagliore dell’anima
e nell’atavica stanchezza
che cede le sue labbra alla tua bocca,
in allegre fughe
di pause e di ricominciamenti,
ti respiro nel vortice
della tua precoce essenza,
lì dove s’abbeverano
le più candide speranze di rinascita.
E nell’atteso mitigarsi
dei tremolii carnali,
degli spasmi provvidi dei sensi,
si avverano quei piaceri
che narrano
della loro natività nella parola,
sostanza che unisce
il passato al futuro
come la terra al cielo in noi,
bocci di una stagione
per la quale siamo divenuti
il seme del presente.
Ecco.
Il tempo si flette in noi
da una sorgente azzurra,
cielo che abbraccia
l’orizzonte nei tuoi occhi,
principio di ogni vivido colore
che il nudo mare bacia e muove
perché così sono io e,
per la meraviglia dell’essere,
così assolutamente sei tu.
Vorrebbero insinuarsi memorie
nel clamore di questo istante
colmo di prodigi e di perfezione:
sono i nostri baci, invece,
ad annidarsi sulla brezza immortale
della conoscenza e della bellezza,
come cullati da una gioia profonda
le cui radici sono destinate
a non invecchiare mai.
Immersioni.
Nulla che lasci ottemperare
ogni diritto
alla materia che ci vorrebbe
ambiziosi e severi,
legati alle sue inabissate ragioni.
Emersioni.
Infanzia e immutevolezza
di quell’amore
che nel nostro petto canta
e che perfino il sangue annulla,
iberna, per l’infinità
che dentro noi si comunica
e ci trasfigura.
(13/03/2024)