“Allora udii una voce potente nel cielo che diceva:
“Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo,
perché è stato precipitato
l’accusatore dei nostri fratelli,
colui che li accusava davanti al nostro Dio
giorno e notte.
Ma essi lo hanno vinto
grazie al sangue dell’Agnello
e alla parola della loro testimonianza,
e non hanno amato la loro vita
fino a morire.
Esultate, dunque, o cieli
e voi che abitate in essi.
Ma guai a voi, terra e mare,
perché il diavolo è disceso sopra di voi
pieno di grande furore,
sapendo che gli resta poco tempo”.”
(Ap 12, 11-12)
Il ventesimo giorno del decimo mese, nell’anno ventesimo quarto della duemillesima età, tra la prima e la terza delle quattro vigilie missionarie dell’aurora, la parola di Dio Padre, il Signore degli Eserciti, è scesa su di me. Egli, il tre volte Santo, e il cui nome è Terribile tra le nazioni, sia ovunque e sempre benedetto, mi ha parlato in questi termini:
Veglia sul deserto –
Poi ho udito una voce potente nel cielo che diceva:
Sta per giungere
il giorno senza giorno
in cui le luci
anche per te
si faranno artificiali,
luogo amorfo
di un tempo
accelerato dai rimbombi
di tutte quelle lacrime sghembe
che più non si odono
cadere sulla terra,
terra che meschinamente
hai devastato
e la follia,
la follia fratricida
che hai lasciato corresse
sotto i colpi di una frusta,
già di suo sanguinolenta,
cercherà invano riparo e dimora,
dimora e respiro.
Invano.
Cadrai vigile,
nella canzone intonata
dal tuo più bel sonno,
canzone che nessuno,
nessuno oserà mai più cantare.
Massacro la sua musica,
massacro le sue parole.
L’alba non crescerà
nelle ugole degli usignoli
in quel giorno senza giorno,
ma troverà riparo e dimora
nei crisantemi e nei papaveri,
prima che la cima del monte,
entro la quale vomiterai
l’ultimo respiro,
squarciandosi recherà
all’umanità violentata
il cataclisma dei tuoi occhi,
ormai avariati.
Sì. Vi precipiterai dentro così,
al pari della bestia,
del grande accusatore
che ha asfissiato popoli e nazioni
pur di rubare l’anima
perfino alle celesti sfere,
alle fulgide atmosfere.
Perché hai messo il mondo a morte
e morti al mondo,
cadrai come cadono
i crisantemi senza lacrime
tra i papaveri innevati,
i fiori orfani di nome.
Ecco.
Io tramuterò,
in quel giorno senza giorno,
la terra
dove giace immonda polvere
in un luogo nuovo,
dal nome antico,
dove si tornerà ad udire
la voce innamorata della sposa
che corre incontro al suo amato sposo
e dove le madri conosceranno
con stupore inaudito e grande gaudio
il ritorno dei loro figli
che non erano, che non erano più.
L’uomo che in quella terra
ed in quel tempo
non sorriderà di pace
con amore al padre
verrà considerato
maledetto per sempre,
e anche gli animali da soma
saranno chiamati
con un nuovo nome,
al pari delle serpi:
sacri, e non sacrificio, all’Altissimo,
l’Onnipotente,
al Signore Dio che li ha creati.
Il calore, il gelo,
non avranno più spazio per essere,
nel tempo che mi appartiene,
il gelo e il calore.
Lascerò che un fosco tramonto
abbracci una terra
nel suo ultimo rantolo
e da tanto fetore sanguinolento
i miei figli saranno
il mio raccolto pregiato,
la primizia che ne ho desiderato ricavare.
Io sarò per essi la gloria
nel loro cuore, per sempre,
e la luce,
la luce che ha dato
al mondo vita e agli uomini voce,
regnerà immensa e infinita
ardendo eterna.
Come eterni farò
la terra nuova e i cieli nuovi,
infiniti e immensi.
Prima che tutto questo avvenga,
ci sarà un giorno senza giorno
quando l’alba non crescerà
nelle ugole degli usignoli,
dice l’Altissimo, il Signore degli eserciti,
Dio Padre, il tre volte Santo,
e il cui nome è Terribile tra le nazioni:
Oracolo sul deserto –
Perché hai messo il mondo a morte
e morti al mondo,
cadrai come cadono
i crisantemi senza lacrime
tra i papaveri innevati,
come tante patrie senza nome.
(20/10/2024)