“Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella, quanto resta della notte?”
(Is 21, 11)
Quanto dire, quanto legiferare, quanto scrivere.
Ancora fitte, comparti di tenebre si alzano di tra noi. Si addensano minacciose, come tante sentinelle che vanno accomodandosi al labbro laccio e pugnale, pugnale e laccio, tra i mondi più non oscuri.
E questi mondi si avvicinano al filo spinato e alla lama nel bacio appena abbozzato dalle mani che si uniscono strette, come allacciate dalle tenebre. E il taglio della perla superiore, che tanto ci invidiano i sommari firmamenti, adesso è diventato preda delle orche, degli squali, delle balene.
Fiaccola. La terra fiaccola, tormentata e avvinta dalla torrenziale letargia di una stagione che irreversibilmente tutto vuole spegnere.
Il filo spinato e la lama possono raderla l’anima, sì. Ma non potranno mai spegnerla.
Sentinella, Sentinella! Io ancora la odo dire, da millennio in millennio, legiferare, da epoca ad epoca, scrivere, tra storia e storia: quanto resta, quanto ancora resta delle tenebre, anima? E considero il giorno, a mani aperte. Così come c’è chi considera la notte come intento coeso.
Oh, quanto dire, quanto legiferare, quanto scrivere!
E il dominare tra gli uomini degli uomini, letto e straripato, nulla servendo, riesce – in verità – a più non far vivere.
(“Non più far vivere.
Non far più vivere.
Non far vivere più.”)
(22/10/2024)