Nell’undicesimo mese, il dodicesimo giorno del mese, del ventiquattresimo anno della duemillesima età, alla quindicesima ora di questa odierna storia, la parola di Dio è scesa su di me. Egli, il Santo dei santi, mi ha spalancato l’ascolto con la sua Destra, per l’aurora novella del suo nuovo giorno, ed io mi sono collocato nel suo dire senza indugio alcuno giacché il suo volere è il mio e il mio volere è suo. Il Signore degli eserciti, l’Amato, mi ha parlato in questi termini:
O isole, o nazioni: radunatevi.
Vorreste, forse, venire a contesa con me?
Spalancano la loro bocca,
la loro bocca infera e fraudolenta,
per offendere, per calunniare,
ma prima di tutto per uccidere.
Credono di rendere un culto a se stessi,
favorendo così anche i loro simili
che si compiacciono della loro vile ferocia,
del loro ipocrito agire
con ispessita violenza.
Menzogna e peccato
è il frutto del loro parlare,
e la loro parola conduce alla morte
poiché prima di condannare,
in realtà, essa ha già ucciso.
Sì. Abili nel collocarsi primi
tra le giurisdizioni dei loro affari,
nelle geografie dei loro approvati
massacri di massa,
sanno dialogare tra loro
col principio del terrore
elevandosi a idoli delle genti
e perfino a deità delle nazioni.
Si compiacciono della loro vigliaccheria
con orgoglio e superbia
e ritengono di possedere il mondo
poiché sono accecati dal potere terreno
che hanno acquisito vendendo la propria anima
al serpente antico, che è diavolo e il Satana.
Oh, posterità delle vostre opere più infami!
Quale follia ha colpito la figlia delle nazioni,
il grano ammuffito del mio popolo.
E quanta disperazione
si cela tra quei sorrisi di carta,
tra quelle lacrime bipartisan.
Quanta disperazione.
Le nuvole hanno cominciato a zoppicare
agli occhi degli uomini
e nessuno può curare tale cecità,
tale zoppìa così assordante.
Sì. Un rumore irrefrenabile
si ode per i paesi e i bambini,
i bambini bevono con le loro piccole labbra,
immerse tra fiumi di polvere e fango,
il nettare oscuro della barbarie umana
mentre le loro madri sono private del cibo
e dai loro seni atrofizzati
non fuoriesce più latte, no,
ma materia avvelenata.
E nessuno che apre la bocca
per curare la ferita del mio popolo,
nessuno che apre la bocca sua
per sostenere l’agonizzante con una parola,
col respiro più indenne,
imbastarditi come sono diventati,
i soliti molti,
tra i loro convenevoli da comfort
sempre più eguali,
le coordinate della morte.
Anche i cani non latrano più
per le città desolate.
Nonostante la loro fame e la loro sete
almeno le bestie dimostrano,
all’uomo che va spegnendosi,
dignità umana come atto di rispetto.
L’amore.
Chi osa più vivere
nel nome dell’amore
se quel nome viene crocifisso ogni istante,
per le strade, per le piazze, nei palazzi,
perfino nelle case,
con lo scopo d’incutere
semplicemente odio e terrore,
terrore e totale sottomissione?
Ma sì. Ballate, ballate sui sepolcri
che non i vostri padri hanno costruito
bensì voi, con le vostre donne e i vostri figli.
Tanto domani, voi dite,
domani, e voi lo pensate,
non avrà più prezzo.
Ridotti a uomini, magari bestie!
Il dio denaro è stato surclassato
dal vostro putrido ego.
Ormai nemmeno la giustizia può accusarvi
dei vostri delitti costanti,
delle atrocità che andate diffondendo
e promuovendo:
infatti la giustizia,
che avete giustiziato su questa terra,
vi appartiene,
assassina e sempre più crudele.
Ecco.
Vi sarà una carestia
come mai si è patita tra il mio popolo,
il mio popolo ferito a morte.
Nei fiumi della separazione
si alzerà la polvere della lebbra
a carezzare le pietre straniere dei vostri sepolcri.
Dal fango si udranno
infausti lamenti di donna
e chiunque si recherà
presso quelle doglie
verrà meno per la via.
Sì. Una desolazione per il mio popolo,
quale mai descritta,
si sta avverando dinanzi a tutti,
o finti muti e soprattutto finti sordi.
L’abominio più grande, però,
riguarda soprattutto
coloro i quali non hanno evitato
che tale ferita divenisse incurabile.
Vi sono tante nazioni
che nei loro governanti
e nei loro sovrani hanno fallito,
hanno fallito il loro incontro con la storia.
E, soprattutto,
hanno finto pure d’esser ciechi:
il mio Nome,
su migliaia e migliaia di croci,
è issato, ogni istante,
con violenza ineguagliata,
nella vita di tante persone inermi.
Consapevoli dell’epoca, tuttavia,
sovraneggiano nazioni.
Non siete sazi di tanta ombra di morte?
No. Ed io so bene che voi
non conoscete tale sazietà.
Vi sto dando il vino della distruzione
mescolato con la mia ira
e la coppa è grande, è grande abbastanza
affinché tutte le bocche
che devono abbeverarsi ad essa
lo facciano fino in fondo.
Lo berrete fino alla feccia
il vino della vostra distruzione.
Poi con la bocca spalancata
e ancora carica di bestemmie
non troverete più la vostra follia
a farvi da spalla,
ma un uncino,
l’uncino della mia vendetta
che già ode l’odore fetido
del grumo inaridito
delle vostre idolatre gole.
Oh, gole cieche e disoneste:
avete mai udito
che chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia?
Chi oggi piange,
gettando il suo seme
per una terra così offesa,
domani gioirà,
portando al petto i suoi covoni.
Io metterò il mio canto,
il canto di letizia e di amore
nella loro rinnovata bocca.
Voi invece sarete nel pianto più indegno,
verserete la vostra esistenza macabra
nel nettare dell’oscurità.
Io non prometto. Io non giuro quest’oggi.
Oracolo del Signore.
Io dichiaro solenne questo giorno
in cui faccio nuove le mie parole
tra cielo e terra.
Oracolo del Signore.
Io chiamo a contesa con me
chi ha crocifisso migliaia e migliaia di volte,
in un tempo che non ha precedenti
e che non avrà successori,
il mio terribile Nome.
Trucidando anzitutto bambini e donne,
donne e bambini.
Ascoltami, ingrata generazione di vipere: striscerai tra le vipere più piccole per formare la polvere del nuovo mondo.
Ti mando mediatori e non li ascolti, e perseveri nella tua volontà di onnipotenza di fronte a me, quando solo l’amore può potenza, e nei cieli e sulla terra.
Ecco che la mia ira si abbatte su di te, come t’avevo predetto, e non ci sarà pace né preghiera che potrà fermarla. Quando vedrai, nell’anfratto straripato d’un marciapiede della montagna dissacrata, una madre piangere per bocca del figlio di quattro anni, ed il lievito sgranato su quei denti, sarà la fine del primo imperativo.
Chi non teme la mia ira non teme la sua sorte. E chi non teme la sua sorte non sarà ritenuto degno di stridere i denti nella Geènna.
Parola di Dio.
Per amore dell’amore, nell’amore dell’Amato, non tacerò, non resterò in silenzio. O isole, o nazioni: radunatevi, dice il Signore degli Eserciti, l’Altissimo e l’Onnipotente. Vorreste, forse, venire a contesa con me? Oracolo del Signore. Guai a chi contende con chi lo ha plasmato, un vaso fra altri vasi d’argilla.
(12/11/2024)