Siamo stati raggiunti dalle ore più malvagie. Gli uomini hanno interrotto i loro conviti nuziali, ma nella maggior parte dei casi questo è avvenuto senza che gli stessi prendessero atto di tal’ evento. Eppure si continua a fare festa. Come se nulla riguardasse noi e i noialtri, si beve e si mangia, con fare da signori, evitando, finché possibile, di sputare nel piatto di chi ci sta di fianco. Già. Meglio lasciare il paese a luci spente e cantare, ballare, sulle taniche del piacere, sui lussuosi boati dei palcoscenici della omertà, che accendere una lampada, una candela, per far memoria di noi, della nostra fine miserabile. Abbiamo la vergogna che gronda tra pensiero e lacrima, e andiamo ammazzando i giusti come un tempo, come sempre, tra vestibolo ed altare. E cosa rappresenta il vestibolo se non la nostra spiccata impudicizia, e cosa significa l’altare, in questo tempo, se non la nostra rinnovata alleanza con il male? Il peccato corrode il condotto che innerva l’occhio al pensiero, il quale dovrebbe produrre nell’uomo attuale il desiderio di piangere. Sì. Piangere per gli efferati delitti, per la consapevolezza dei tradimenti, per i fallimenti civili e sociali, per il perpetuo rubare, per il creare idoli sempre nuovi a cui sottomettersi, per l’incestare contronatura l’uomo con l’uomo, l’uomo con l’animale. E tutto questo, nonostante i lutti, le rovine, le feste cessate, le solennità derubricate, questo tempo viene, ignobilmente, definito da molti come il più grande spettacolo. Abbiamo l’odio nel cuore perché siamo invasi dalla certezza che dobbiamo mascherare comunque e sempre un dolore, il dolore che ci urla in faccia, senza alcuna pietà, il nostro peccato. Un peccato che ci sta sempre davanti perché non si dimentica di noi. Se riuscissimo ad essere liberi dai fremiti dell’ira, dai linguaggi dell’orgoglio, se provassimo a combattere la concupiscenza dell’occhio, della carne, forse potremmo aspirare ad essere, a divenire, irreprensibili dinanzi all’amore. L’Amore. Questo Sposo che alle nozze non viene, da tempo non le raggiunge, poiché gli uomini hanno soffocato nel sangue ogni speranza nel paese preferendo, così, le tenebre dell’errore e del peccato alle lampade accese, al virgineo albore di quell’attesa che, ad ogni modo, per tanti, non è mai terminata e mai terminerà. Siamo corrosi dalla ruggine, siamo masticati dalla polvere. Ammazzando i nostri simili andiamo sovvertendo le leggi naturali dell’ingaggio fra creato e creatura; ammazzando i giusti, poi, andiamo confermando di essere la stirpe maledetta dei nostri padri. Ci stiamo scavando un eterno supplizio nelle regioni del Tartaro. Ecco. Siamo stati raggiunti dalle ore più malvagie. Se tra le facezie grasse cui ti sei immischiato, ove stai gozzovigliando, senza pausa, adesso come invitato e ora come festeggiato, se in questa strana festa tu provi fastidio, fastidio per un echeggiare di parole senza confine che t’interpellano sulle taniche del piacere, sui lussuosi boati dei palcoscenici della omertà, allora non ti sei affatto sbagliato, mio simile. Poiché anche tu, per primo, come me, sei stato chiamato in causa. Da chi? Dall’unico che può ritenersi al tempo invitato e festeggiato. Poiché il tempo è suo. Da colui che ha imbandito una tavola e ha indetto una festa. Egli passa a servire ed è il festeggiato. Lo attendono in molti. Che non abbia a nessuno a mancare l’olio. Egli non si farà attendere ancora a lungo. Sì. Lo Sposo non tarderà a venire. Accendete le lampade. Abbiatene fede e timore. Accendete le lampade.
(09/12/2024)