“Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori
quasi dovessimo partorire: era solo vento;
non abbiamo portato salvezza alla terra
e non sono nati abitanti nel mondo.”
(Is 26, 18)
Avete il timore di essere. In questo dimostrate che il senno che vi previene è di gran lunga peggiore dell’idea tremenda che avete calunniato già per il domani. Già. Una parola degna di sentenza, questa, in quel futuro già processato negli adamitici frammenti di remoti generazionali. E vangano rondini, in un cielo senza ritorni, tra le migrazioni dei pensieri vostri mutuanti, invalidi come dei cluster errati in bruciati settori di una partizione nascosta di due alleanze, dalla eternata natura, offese e mutilate. L’Osceno, malefico patrigno degli scenari devastanti che abominevolmente state affrescando ovunque all’intorno, come un verme dalle sei code vi corrompe la mente e se ne vanta. Il suo spaventoso ghigno si metamorfizza nel vostro. Ma siate pure, oggi che il vitello del paese che avete clamorosamente svezzato è smagrito fin oltre confine. Siate pure i voialtri con i sempre gli stessi, ovverosia coloro i tutti che abbandonano i pingui convenevoli alle indecorose facezie di chi finge di addimorarvi nel cuore statico dei vostri antenati interessi. I testamentari. Ecco. La rabbia percuote la vostra paura che diviene pena e fuggiasca evade. Suvvia. Io conosco una ragione che è più grande di qualsiasi umano affanno: è l’affare della esistenza, il nocciolo pulito dalla vita. Voi credete che ogni vostro bisogno sia alla portata di questo mondo. È proprio questo l’infausto motivo per il quale esso sta diventando la vostra privilegiata fogna. Avete raggiunto la misura dei vostri avi e, imputriditala, l’avete agevolmente superata. Avanti a voi oltre alle bianche bare, ai cadaveri senza nome, alle madri disperate, sospesa in volto vi schiaffeggia, adesso per adesso, l’offesa per la vita abusata, violentata e trucidata. Dormite. Come ben dormite, sembrate quasi dei beati. Ma dentro avete sogni di morte e realtà ancora più infami. Andate armonizzando l’empietà con slogan da progresso mentre avete vituperato l’umanità: siete voi i veri patricidi. Ma poco resta. Un po’ che riguarda molti, dunque un po’ che non può bastare. E sfioriscono i confini delle isole a noi vicine, di quelle lande mai lontane, dove giacciono come agnelli imbalsamati con la mirra dei potenti sempre più mandrie di maiali. Io saggerò una crosta di vino e un dito di pane anche quest’oggi mentre voi andrete governando con la scienza delle scimmie di questo secolo quasi tutto, da quella fogna sempre più immonda al più prezioso di quei cluster, dimenticando un concetto rilevante, forse il più degno di essere considerato: avete partorito bandiere che vanamente inseguono il vento. La parola resta. Vergine, ama la bocca che di un’arma soltanto sa gloriarsi: l’amore per la verità. Chi vuole intendere intenda. Chi non vuole intendere non intenda. Nelle orecchie vostre, comunque vada, si librerà il trionfo della parola tra note mai sazie di un ultimo amen.
Ogni uomo che adesso e per adesso, per esso e per adesso, tale si ritiene dica amen. Voi allargate pure i vostri sorrisi, adesso e per adesso. Tutto il popolo, io vi dico che tutto il popolo canterà il suo ultimo amen! Sì. A “tempo debito” lo intonerà.
Alleluia.
(07/01/2024)