Afferrerò i miei cieli per spalancarli al nuovo



Afferrato dalla parola del Signore nei due campisanti del suo volto, come una pioggia inghirlandata di cenere e miele sono costretto a posarmi sulla terra più amara per lapidarne i frutti e irrigidire la longevità dei suoi fiori più sontuosi oltre ogni consapevolezza umana, al bivio di una volontà deceduta nei favori della schernita pietà.

Mangeremo a sazietà, sì,

mangeremo a sazietà

per i primi tre anni

coltivati con terrore

dai contadini disonesti

e la nostra bocca

resterà per quel tempo,

per ogni suo incedere devastante,

taciturna e sveglia,

come due istanti

che mordono vicendevolmente

la quiete e la violenza.

I nostri figli

non avranno conoscenza

di benessere né di malessere

poiché vivranno

in una condizione di parità

dei sacrifici e delle offese,

terra in cui lievita la luna

e lo stellato inevitabilmente muore.

Le lacrime abbonderanno

sui covoni abbandonati

per le viottole

dei paesi più rinomati

affinché sia lavato il sangue

delle pecore smarrite

e poi ritrovate scollate

assieme agli agnelli

marchiati prima

col sigillo della vedovanza

e poi ritrovati sgozzati.

Al termine della congiurante fame

e della sete asfissiata,

come stabilito per ogni palato

ben prima

della quiete e della violenza,

istanti che si morsero a vicenda,

i due tempi

che procurano luce abbondante

nella promiscuità del male

ottempereranno

con puntuale precisione

il loro giusto compito,

il corretto,

quando né padri, né madri,

né figli,

si saranno seduti al tavolo

della consapevolezza umana

per consumare i pani vivi

della promessa offerta.

Si realizzerà, così,

ciò che è stato scritto,

comandato e detto,

per la terra dalle ossa incenerite

per la pioggia rossa:

“si mangerà quest’anno ciò che nascerà dai semi caduti,

nell’anno prossimo quanto crescerà da sé,

ma nel terzo anno seminerete e mieterete,

pianterete vigne e ne mangerete il frutto.”

Poiché così dice il Signore:

quanto è vero che io ho parlato

e quant’è vero che io ho comandato

toglierò il miele

dalla bocca dei porci e dei cinghiali

e lascerò ad un resto che mi sono scelto

l’intero sapore delizioso

del frutto ritornato a vivere

sopra i fiori più sontuosi

e longevi.

Chi oserà cibarsi di carrube,

tra i porci ed i cinghiali,

in quel giorno conoscerà

la mia inaudita vendetta.

E quel giorno sarà ricordato

come un giorno di festa nella festa,

amore che non si scompone,

nei labirinti superati

dalla prossimità del mio zelo,

quel medesimo zelo

che netterà il mondo

dalla grandine sporca della vergogna

fino agli uragani superbi delle atrocità,

coordinate che non si commuoveranno

dinanzi alla furia degli elementi

attraverso i quali afferrerò i miei cieli

per spalancarli al nuovo.

(19/09/2022)