Agli amati tutti per quell’amore che ci da amore: gioia e pace. Benché fossimo dotati tutti di uno spirito che non certo abita il corpo che riveste l’anima umana, e questo non lo dico io, ci apprestiamo quasi sempre noi, come fosse un fabbisogno incontestabile ed incommensurabile al nostro benessere esistenziale, e per benessere intendo un plusvalore che ci rattiene in vita, a inclinare il possesso della carne verso la dittatura del piacere, quel piacere derivante esclusivamente dalla deviazione dei sensi ai quali acconsentiamo i rifacimenti del brutto e dell’insano opponendo questi ultimi a un più dotto ricomponimento del bello e del giusto. Dimentichi di essere parte di un unico corpo, membra vive che si innestano nelle partizioni dell’emisfero quotidiano dell’unita in Cristo, maltrattiamo e seviziamo con inidonei pensieri, atti orribili e depravazioni del nostro medesimo genere, il capo di questo corpo con fare ripetuto imponendogli una forma di violenza che innerva, d’altronde, dapprima le nostre meningi e poi le nostre ossa. Oh, fonte dell’arrendevolezza dell’anima! Quanti sono stati e quanti saranno i vicendevoli schiaffi e pugni che gli uomini agli altri uomini hanno arrecato e arrecheranno. In questo siamo tutti adulti e più che consapevoli del danno, sì del danno, attraverso il quale stiamo spalancando ai nostri figli la porta della già ingorda perdizione, gola che mai si placa, eutanasia di un ventre che più non ammette limiti. Siamo forse degni di essere corresponsabili della prossima fine dei valori umani che ad oggi costa a codesta società già il massimo della pena? Non sia così. Chi siamo noi da poter giudicare i nostri prossimi? E quale legge prevede, in questo mondo ancorato al suo medesimo naufragio, di condannare per l’opera buona il giusto e di condonare per l’atto illecito il vero trasgressore? Chi si ritiene saggio si comporti da stolto in Colui che gli ha dato onore di vita col suo soffio e la sua sapienza crescerà in misura equivalente alla progressione del suo abbandono in Cristo Gesù, che di quel soffio è il Verbo e che nel suo essere, in noi, con noi e per noi, è vero Dio e vero uomo. Non per attristare il vostro animo già contrito vi ho enunciato di come la stoltezza di questo mondo, dedito solo al fatiscente impoverimento della scienza del progresso che sta lasciando evolvere soltanto bestie, uomini da guerra, è fame per chi vuole il popolo sempre più drogato del niente, ignorante e, nella sua nullità maturata, spento. O potenza che ti vanti e che vai rendendo schiava la mente dei miti, dei poveri e degli onesti: come uno sciame senza direzione andrai diretta nello stagno del più disperato fallimento della storia, figlia di coloro che ti assaliranno perché hai saputo soltanto pungere, con la tua continua accusa, i diritti di ogni uomo. In tempo di pace hai saputo rendere anzitutto il pensiero di chi ama e che ti è d’intralcio come primo prigioniero di guerra. Non all’uomo, dunque. Non alla carne. Non ai corpi. È alla tenerezza della parola, al suo delicato e puro desiderio di convogliare il destino della umanità fin troppo segnata dalla storia di se stessa, che dobbiamo rivolgere il nostro ascolto, e mirare la sua benefica traiettoria per imparare a seguirla e successivamente, perché no, a seguitarla. Sia il nostro animo pronto a mutare questo corpo di putredine e di mondezza, giammai vertente in uno stato d’irreparabilità, in tempio sacro a quell’amore troppe volte ripudiato, scansato, ucciso, dimenticato. Siamo forse un solo corpo noi, dunque? Mai. E cosa, allora? Un solo corpo in un solo spirito. Questo è quanto ci spetta, nella stoltezza amata della Croce di Cristo. E questo non lo dico io ma l’amore che ci dona gioia e pace.
(30/03/2022)