In questa modalità mi parla il Signore, mio Dio. Ed io lo ascolto mentre Egli mi conduce sul suo Santo Monte, a cospetto di una trapassata memoria.
Figlio dell’uomo, ecco.
Emetti un suono
con l’angustia
che sto per premerti nel petto,
emettilo forte,
tale che anche i sordi
possano udirlo.
Infatti esso supererà
la barriera opaca
che rende l’uomo,
al di là della sua certezza
e al di qua della mia parola,
infermo,
affinché soprattutto costui,
malato sin dalla nascita,
si dichiari completamente sano
dinanzi al tuo suono.
Quale uomo ha mai visto
un uomo sanguinare suoni?
Ebbene si stupiranno di questo
e di ben altro quando,
sorpresi dal dolore immane,
ondeggeranno per i loro campi,
per le loro terre,
come tanti animali bastardi
che non hanno conosciuto
il favore della famiglia,
di un popolo,
di una razza,
di una stirpe,
di una specie,
della nazione.
La cavità del loro udito
fungerà da colloquio ultrasonoro
oltre i decibel consentiti
da ogni legge naturale.
Io sarò per loro un input
ed essi per me diverranno
il più sfavorito degli output.
Sanguineranno col tuo stesso sangue,
ma non comprenderanno.
Urleranno
e invocheranno il diritto alla vita,
il diritto del pensiero libero,
il diritto della parola,
il diritto di non essere violentati
fin dentro agli organi,
fin dentro al cervello,
manipolati da una scienza
che a loro soltanto appartiene, già.
Assassini.
Ma io non udrò. No.
Io sarò sordo
in quel giorno che mi appartiene,
come mi appartiene la loro vita,
il loro pensiero,
la loro parola,
gli organi,
il cervello
e liberi li ho resi.
Tu, in quel giorno,
mi chiederai di asciugare
la ferita dal tuo petto
ed io ti ascolterò.
Ti prenderò tra le mie braccia
e ti porterò lontano
da quelle terre
che bruceranno
al suono dell’angustia,
al calare delle tenebre.
Può un sordo,
dimmi, figlio dell’uomo,
parlare ad un altro sordo
per indicargli la via?
Io spalancherò,
tra poco tempo,
tre condotti.
E i primi a stupirsi
per il frastuono che addurrò
tra cielo e terra
saranno proprio loro,
coloro che andranno ondeggiando
senza comprendere,
addolorati e persi,
randagi ed ebbri ancora di sangue,
di violenza.
Un condotto avrà
la stabilità della paglia, del fieno.
Lì si riuniranno molti popoli,
a causa dei loro capi padroni.
Molti cadranno,
poiché consumeranno
il frutto dei campi da soma
e non avranno che un solo stimolo:
la fame, la fame assordante e assassina
di mangiarsi l’uno con l’altro.
Un abominio
che durerà settimane di giorni.
L’altro condotto
sarà posseduto dai venti
che soffieranno al contrario.
E gelo contro arsura,
e carestia contro siccità,
non udranno la voce dei popoli
sparsi nelle quattro direzioni differenti.
Senza volerlo e senza comprenderlo
si patirà così,
per giorni di settimane.
Una desolazione.
Il terzo condotto
avrà i colori dell’arcobaleno
e dai suoi raggi usciranno suoni
e da quei suoni emergeranno
fiotti di sangue nerastro.
Le acque del grande lago
saranno sconvolte,
quelle dei fiumi berranno
la loro stessa piena
e quelle dei mari
diverranno velenose
anche agli occhi dei ciechi.
Ma da questo condotto,
l’ultimo, alta si udrà,
alla fine della settimana
senza giorni e senza notti,
una voce.
Chi si volgerà indietro
a guardarla sarà folgorato
e chi le andrà incontro
andrà perduto,
diritto e inconsapevole.
Infine ci saranno coloro
che abbasseranno il proprio capo
e si batteranno il petto
per colei che ho lasciato desolata
nel suo devastante abominio.
Costoro parleranno
con la voce del suono ai miei orecchi
ed io li udrò,
e porrò un termine alla fine.
Di luce asciutta nella tua bocca,
figlio dell’uomo,
come oggi,
anche allora sarò
l’incarnazione del sangue
fattosi parola.
Volessero ascoltare,
figlio dell’uomo,
volessero intendere quegli uomini,
oggi.
Ma non lo faranno.
Tu non darti pena.
Li ho resi sordi.
È per questo
che ti ho parlato nel parlare.
Perché comprendano senza udire
e ascoltino senza comprendermi
affinché nel giorno senza notte
io non mi commuova
e li giustifichi
come già fa il tarlo della morte
che nelle loro viscere,
da egoista innato,
dannato ed obbediente
li rode e li consola.
(28/01/2023)