Infinitezze,
circoscriverne le attese irrisolte,
imperscrutabili.
Senza tregue,
oltre la zona ottenebrata
di ogni pausa.
Perché in quel caotico punto,
che antecede
strali di mnemonici spazi,
risiede tutta l’operosità
del nostro futuro amarci.
Mistero che tenta
una riconciliazione
con questa esistenza
e che da sempre vivi,
e che da prima
che io fossi dato alla luce,
nella sublime contemporaneità
che ci dimostra e che ci manifesta,
perfettamente contemplo.
Come sollecitate armonie
tu vai monitorando
i flussi anomali
che rendono critici e conflittuali
i miei divezzamenti genetici.
Ed è come latte ai miei occhi,
miele al mio palato.
Non lacrime né voci.
Paterno io, materna tu,
in un costante coinvolgimento
di pulsazioni erranti,
di battiti innocenti,
in ansia per un oggi
che ancora non albeggia
e nel quale
l’esaltazione dell’essere
che soave mi percuote
già mi riconduce a te,
ai nostri nuovi fertili raccolti,
per la totale conoscenza
di una verità stillata per intera
dal petto casto
del tuo superno domani,
per la stagione dei limiti
oramai sempre più assenti,
in questa fluida temporaneità
che nonostante i suoi generosi amplessi
non mi rende ancora sazio,
anima che dall’anima
giammai, giammai si ritrae.
(08/05/2024)