Ciò che d’infinito migrante scompensa l’essere

Mano d’uomo potrebbe tratteggiare meglio ciò che d’infinito migrante scompensa l’essere, in simbologia di sette nuove piaghe, nel cervello della bestia? E quale decaduto angelo, il nero per antonomasia, comparirà davanti alla donna, la sposa che nelle supreme doglie darà luce di luce alla storia vecchia e nuova non solo del degenerato mondo? Se osservassimo il capo di questa madre, coronato di dodici stelle, e vorremmo dare una sequenza di pace al suo esodo archetipico nei respiri oscuri del deserto non potremmo certamente solidificare i nostri cuori nei principi eterei, contemporanei magari, della sua illimitata essenza. Eppure le sette piaghe che saranno mortificate nella loro metà, esattamente come le porzioni del tempo, accusate e sterminate dalle dodici stelle della corona di luce nei pascoli del deserto, a quale nome di creatura vivente oggi ci portano? A chi mai sarà dato saperlo, ai dotti forse, ai saggi, ai potenti? Dunque, se mano d’uomo esiste per smuovere ciò che d’infinito migrante scompensa l’essere, vieni a tratteggiare, tra le dieci dita che ancora per poco e un poco avranno la capacità ed il potere d’illudere, l’unico nome di Colui che schiuderà i sette sigilli, dopo il suono delle sette trombe, invocato dai gemiti dolorosi degli eletti coronati dalle dodici luci di Colei che è luce di luce, e sarai chiamato a tenere alta la lampada, ad asciugare le acque, a partorire la Salvezza.

(28/07/2021)