(Ipapànte)
Frammentaria, l’ipotesi che le tue mani potessero scivolare dietro ai volti delle luci si scagliò nell’insistenza delle verità. Il profumo lento dei tigli divenne acre e libera ci apparì, come mai prima d’allora, l’eletta specie dell’uomo. No, non fummo noi ad elevare le nostre anime, grate nell’intimo di tanto dono. Compiendo in terra la natura divina della tua primogenitura segnasti un perenne passaggio dall’antico al nuovo. Si stravolsero le leggi e con la potenza principiata nello spirito, attraverso l’umiltà degli elementi, umiliasti ciò che ogni essere umano aveva ereditato. Ciò che Eva ci tolse, ci fu restituito in misura maggiore poiché, nei luoghi dove la rovina ci colse, ora sovrabbonda e grazia su grazia. E se vero è che quel dolore annoverato dai giusti avrebbe invaso proprio il mio seno, luogo di tanto innocente riscatto, è ancor più vero che io nacqui con la spada tua, figlio mio, adagiata come di un bimbo le labbra per sfamare la sua innocente sete, per porla sul tuo braccio destro in segno di contraddizione per la caduta dei molti e la resurrezione dei tanti. Tutto questo fu velato ai miei occhi che, lenti, come il profumo dei gigli adornati dalla verginità dell’alba, appresero il mistero di chi, rivestito di carne, non altro era che il Dio in me, con noi.
(02/02/2021)