Come una folgore guizzata da qui a là
Chiudi i battenti. Metti
la vecchia bandiera appena oltre
l’uscio di casa,
lì dove la luce più non brilla
e il vento tocca e rintocca
senza pausa che può
elemosinare il tempo al tempo.
Non uscire.
Sii come un uomo che, tornato
da un viaggio troppo lungo,
vasto e ampio,
nulla riconosce e niente,
nemmeno il proprio ricordo
più lo importuna,
tanto il divario tra mente e corpo.
Smetti i panni del grande cammino,
allarga la cinghia che i tuoi fianchi
più non reclamano,
mangia, poi, il pane indurito
della ritrovata lontananza
e bevi, dal calice più arrugginito,
il succo amaro
dell’abbondante tramonto
sulla tavola imbandita
con la mia voce intessuta da quei ricami
che non t’hanno mai abbandonato.
Fuori è il mondo. È ancora sveglio.
Esci dai suoi occhi,
un’ultima volta.
Sarai per esso un intimo monito,
l’inguardabile destino
che sventola tra i rami della resistenza
di un prato quasi fiorito,
maturo ai suoi confini per l’ultima vendemmia.
Ecco,
io metterò sulle tue labbra un canto.
Le donne torneranno liete ai loro figli;
dalle terre dimenticate, imbattute,
si abbracceranno tutte le restanti corolle,
le foglie non avvizziranno al mezzogiorno
e i pampini fermenteranno come l’azimut
che sarà misurato dalla luce del mio suono.
Chi vorrà comprenderlo?
Chiudi i battenti.
Fuori è il mondo. È ancora incredulo.
Resta. Tu resta solo nei miei occhi.
Come una folgore guizzata da qui a là
sto per alimentare la sua funesta veglia
per spegnerne, per sempre,
la sua memoria –
figlia senza madre né padre,
assorta nel tracotante silenzio
di una violenta menzogna –
a smezzata bandiera,
tra il vento vecchio e il vento nuovo,
appena oltre l’uscio
del suo transeunte sonno.
(11/12/2021)