Il vezzo delle tenebre va’ affievolendo la sua costanza, utilizzo smagrito e pure postumo di un’asservita tenacia. Non è forse una ripetizione del presente all’attuale, ovvero non è forse il compimento del passato nella compenetrazione del nuovo e dello stupefacente, non necessariamente coniugato col bello? Intanto la porta che libera i suoi ultimi cinque mesi migranti sul belvedere allunato e immobile di un umano tessuto occidentale sopprime ogni pacifica connivenza legittima prima che la mano del carpentiere faccia rinsaldare i veri punti cardinali sulla serratura di carne manomessa da troppe chiavi. È l’ostentare inviperito della solerte seduzione globale mentre una bambina ricama, dalla culla del genocidio fiorente, una luna seminata da un mare di stelle su di un tessuto umano orientale. La parola che parlerà con la voce della stessa parola è assiepata tra la montagna e l’acqua, profuga come l’andare dei moti e dei tempi per rivelare ogni sua rivoluzione, ogni sua rotazione, dalla cruna di una parabola che saprà straripare l’attuale nel passato e il futuro nel presente a nullificate potenze dell’aria e della terra con il processo inverso della dovizia e della cenere.
(16/07/2023)