Alla undicesima ora del giorno pensato in me dal Signore si fece spazio e tempo, nelle rinnovate luminosità del divenire mio, la sua voce. Essa inizialmente mi procurò contrizione e lacrime della coscienza e la mia mnemonica storia umana ebbe a conoscere il freddo dell’oblio per l’inverno dell’anima. Caddi in uno stato di profonda inquietudine e in questo moto inerte di prostrazione totale del mio essere udii tutte le mie ossa addormentarsi tra il respiro e la pulsazione, lì dove la vita si sottopone al giogo della lievità e della pace in armonia netta col creato. Ero come preda della volontà che da sempre amavo e i miei occhi cominciarono a distare tra di loro per lo sguardo atroce delle future sette piaghe che stavano per affliggere la mentalità incarnata nel destino delle nazioni a causa dei loro governanti e dei rispettivi capi. Poi rinvenni nel fresco dardo che docilmente colpì le mie labbra e improvviso il fiato ritornò ad essere e in esso cominciai a correre verso i fiumi già predetti dal passato. Erano di colore violaceo. Mi fu chiesto, dal giorno pensato in me dal Signore, di immergermi lento nelle acque e di rimisurarne il peso, di colmare col mio sguardo le sue profondità e di elevare fino alla sommità del mio capo il suo sapore per addolcire la sua ventosità con la densità del mio sangue che si sarebbe in parte tramutato in valore salino nella continenza dei non distanti mari affogati. Divenni così, di terra in cielo, la concezione di uno spirito che in me tutto poteva e che nelle complessità di quell’anelito mutevole e immoto si trasfigurò, avanti agli abitanti delle sanguinanti stagioni, nell’inviolato seno della rugiada e con innato divenire trascesi nei verdetti della parola.
(29/03/2022)