Con la violenza pacifica di uno stormo di colombe
Io vedo sull’estremità del mare una corda, tesa e ancora asciutta, immersa tra la ruggine delle parole inascoltate e rese vane, con due isolotti di piombo ai lati che la costringono a misurarsi con l’efferatezza di più potenze pronte a inabissarsi e che oltre al loro ingaggio terreno vantano una schiera di stelle che non brillano di propria luce e che restano sospese su di queste acque nerastre come tanti uomini impiccati con una corda diversa, molle e inzuppata, la quale sale sull’asta delle speranze isolate con una tensione intermittente. Vedo anche l’attesa farsi bastone e dividersi in due mentre sul vincastro del prodigioso pastore, l’anti-vero, ecco fiorire la tenebra. Poi guardo il mio ascolto farsi memoria e la coscienza divenire carne d’uomo, corpo disanimato e privo di ossa. Il sudore di questo corpo genera sette occhi miranti le schiere di stelle precipitare lì, dove mare più non è. E uno stormo di volatili gracchia nei pressi di quell’isolata asta che diviene una mela grande, avariata, dalla quale cresce un ramo d’ulivo, come fosse una canna indistruttibile di circa cinque centimetri. E un corvo la stacca dal frutto marcito e compie per ben sei volte la rotazione terrestre senza staccarsi dal suo stormo e senza mai lasciar cadere dal suo becco l’ulivo finché giungendo nei pressi della mia coscienza depone l’ulivo nella bocca della carne d’uomo senz’ossa che comincia a parlare, anche se è un aprire il pensiero senza avere ancora l’ausilio pieno e devastante di un aereo respiro. Improvviso il mio spirito entra in quel corpo e emette un vagito, poi un secondo e ancora così, per un tempo e vari tempi. Abitante del mio sentire e del mio vedere sono la vita che veloce scorre, che cresce con la sua nudità resa forte dal canto germogliato con le novità delle mie ossa incorrotte. I miei sette occhi, corpo che si fa memoria, adesso emergono dall’estremità del mare dov’è ancora tesa una corda. E quattro viventi sorreggono il mio sguardo con sedici ali sulle spalle, tante quanti sono i metri del fiume importato nella mia conoscenza e che io sto leggendo alla presenza di un Vegliardo, trono ove assisa v’è la gloria del Verbo fatto carne. In me si fa cielo, adesso, e il cielo cerimonia il banchetto di nozze preparato dagli Sposi, mio Dio e mio Signore che mi ha comandato di mangiare l’ulivo e di succhiare attraverso il suo ramo tutto il mare che già vi nevica d’intorno. Rabbuia. La sera s’inerpica sopra la corolla di un mondo addormentato con la violenza pacifica di uno stormo di colombe.
(08/03/2023)