Concreata e,
nonostante il vasto ingresso
di ispide penombre
nell’ibrido concetto del maturante dualismo identitario,
trattata con algoritmi di famigliarità –
ignari di possedersi per la brillantezza della pioggia
nel nucleo elementare dell’ascesa retta febbrile
a sopravvenuta mitigazione sanguigna
su ogni reclamata superfice acquea –
profugo etereo dalla cointestata proprietà patrologica
io elevo a te – magnificata prole di ogni insorpassata luce -,
dalla cadenza melliflua di questo gemito infantile,
l’ospite ultimo di un oltre vissuto tempo cauto
per l’essere tutto nell’altro luogo del mio volto
poco prima d’averti gocciata,
riflessa nel riflesso del non riflesso,
nella piena grazia di un’embrionale materia caotica
nullificante la tensiva sovranità della stagione implosa,
inespansa.
(12/04/2023)