E il giorno velato di speranza rivolse alle nubi, sovrastanti monti e colline, il suo messaggio colmo d’amore per la notte. Che fosse una trasparenza quella desiderata dalla luna, dallo stellato intero, a indirizzare quella luminosità diversa, astrale, lo si desumeva dal vento che ponderava da nord a sud il polline di una medesima stagione che si era piantata sulla terra. “O fiori e frutti”, sembravano sussurrare la rugiada e il seme, “coprite ogni nostro amato”. E ogni creatura viveva, nonostante l’andirivieni della luce e del buio, l’alba costante, l’estate del cuore e del pensiero. Era il tempo in cui non più l’uomo, non più le mani, non più il rituale avevano il predomino delle perdurate presenze del cantico del cielo. Il vino bevve l’odio, così come il pane spezzò le sue catene. E la festa che cominciò da sud a nord, da est a ovest fu grande, come mai nessuno potrebbe narrarla. Una felicità riempì ogni uomo, donna, bambino, vegetale, minerale, il terrestre, il celeste, che la velatura di speranza si trasformò in morbida, in costante tessuto della pregiata specie chiamata “realtà”. E questa divenne un solo canto, un unico ballo, la carezza tanto desiderata dalla moltitudine. Il Caos armonizzò le forme di equilibrio e partecipò all’ultima veglia dell’immensità, quando lo sposo e la sposa fecero il loro ingresso nella gradualità che subito divenne perpetua, con le trasparenze sempre più vicine, chiare, consonanze silenziose rotte dal nuovo infinito.
– Santa Pasqua, Domenica di Risurrezione –
(12/04/2020)