L’inesistere che intermittente assimila i rigurgiti dell’umano malessere, frazionato in misure di genere, di stirpe, di società e nazionalizzazione di popolo, è dopo noi, all’avanguardia della sindrome da progresso. Poco ci resta in questa presa di scarto che il passaggio sancisce dalla gradualità dei simboli alle più miopi alternative dell’attimo e meno, ancor meno diverremo, con duttile probabilità dal sintomo empatico rilevante, al passivo scopo claudicante la motricità regressiva dell’immoto. Oh archè in bellezza piena dei conforti, potenza imponderabile del superno e della sua vicissitudine! Da quali bagliori saremo chiamati alla presenza, in virtù della presenza medesima che immutata tutto sostiene, per consapevolizzare l’urto identitario che breve ci consolida, accolto nell’urna di un pensiero atavico all’acme del suo fittizio aggiornamento, e che in orli di andirivieni coi noialtri sottende il grido perso di chi, libera necessità, conviene alla deflagrazione del vivere? Viene. Cenniamone il volere nell’innervato loculo del limite.
(12/11/2022)