Dai carri dell’aurora



“Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,

la gloria del Signore brilla sopra di te.

Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,

nebbia fitta avvolge i popoli;

ma su di te risplende il Signore,

la sua gloria appare su di te.”


(Is 60, 1-2)

Nel secondo mese, il quarto del mese, del ventiquattresimo anno della duemillesima età, la parola del Signore è scesa su di me, in questi termini:

Eri un magnifico virgulto tra le mani del Signore, la rugiada lambiva le tue labbra e fluiva aerea, quasi nostalgica per quel suo distacco dalla sorgiva tua materia. Ti sei compiaciuta di te stessa e hai sfidato le altezze, vaste ed eccelse, per l’odore che in te brillava della furtiva superbia. Così, senza molto tardare è giunto il giorno in cui con le tue radici hai rinsecchito il pavimento floreo che verdeggiava all’intorno dei campi del miglior frumento e le distese disseminate di grano dai loro vermigli albori sono state attaccate dalla forza distruttrice del vento orientale. D’improvviso sono state falciate come per arsura, cieca e oppressiva arsura, di un sole senz’alcuna età. A mezzogiorno tutto è confluito nel soffio dell’indifferenza, rendendo inutile il sacrificio dello stesso grano. Cosa ha riserbato il Signore degli eserciti per colei che da magnifico germoglio si è trasformata in recinto inabitabile da frontiera? Diverrà, forse, fertile vigna o, invero, vanga smussata della sua stessa terra pronta inavvertitamente a leccare il suo veleno clandestino?

Nel secondo mese, tra il quarto e il quinto giorno del mese del ventiquattresimo anno della duemillesima età, all’ora da consolare di una storia già scritta la parola del Signore è scesa su di me, al quarantanovesimo anno, in questi termini:

Hai decapitato le primule e le viole dallo screpolato labbro di un mai passato e mai prossimo inverno. Alla tua vista retrocedevano fiumi, nel fugace intervallarsi dei mari. Ecco che io sto suscitando a causa tua un inverno presente. Sarai inghiottita viva dai campi di frumento, dalle distese di grano e la vanga, con la quale hai mostrato a tutti la tua vanagloria, la tua peggior superbia, farà per me ciò che desidero. In quel giorno il firmamento non si rattristerà quando cesserà di illuminare il mondo la luna, per il suo trono sconvolto da sponda a sponda. Tantomeno i venti saranno pietosi, cheti: quando verrai all’incontro con i retroversi fiumi e il mare lascerà spumeggiare il tuo orgoglioso collo sarà una luce discesa dal terzo cielo a piegare quello che tutti credevano insopprimibile orgoglio. Io, io stesso berrò il tuo efflusso davanti alle primule restanti e alle viole che diverranno mia eredità costante della mia fertile vigna. Abbrevierò la notte che non si è intristita nel suo firmamento. La luna sederà sulla cenere del nuovo mondo. Il trono di chi si credeva potente e valoroso lo ridurrò in tre tempi dalla stessa misura. E quattro venti, quattro furiosi venti, aleggiando nella mia volontà, stermineranno la dimensione che ho suscitato per quei tre tempi e per le loro misure. Io giuro sul mio nome che quel giorno privo di buio in molti vedranno la mia gloria, la gloria del Signore, abitare per sempre la terra, dai carri dell’aurora e con uno scettro bagnato dalla mia stessa parola. E saranno ancora di più coloro i quali verseranno il loro efflusso nella coppa dei redenti. E voi, che dell’aurora siete il riflesso della pace sui monti vasti dell’attesa, ponete questa ora che intervalla le tenebre alle tenebre ed elevatela sul candelabro delle primizie, dei virgulti. Su. Consolatela, consolatela mentre va svanendo la sua miseria e ditele di alzarsi dal suo stesso tempo giacché la sua liberazione è alle porte e che la sua luce amata è più che mai vicina.

(05/02/2024)