Dalle ime congruità memori sulla canizie della parola
“Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.”
(Lc 3, 1-2)
Arida. Come dei potenti la pressata mano volta verso il basso di un’ancora più testata e mai testimoniante bocca. Taciturna veglia, esposizione pluriforme di un acclamato raggio dal grido vermiglio, distanza che si corrode in una voce che si promana nelle fattispecie di una vita, in quale manifesta età dalla sempre indifferente storia vai, con efferata caparbietà e dilaniante concretezza, mostrando involontaria e dalla posseduta luce il manto nuovo e antico del tuo inaudito esordio? E stepposa resterà la risata di chi tutto astringe nel lezionario programmato e vinto della paura, dei convenevoli sempre più bellici, chimici, bontà che sconquassa i diaframmi dei continenti, per la codardia del bello e del buono, del sano, dell’interesse sempre più arduo nella imperfezione roteata nel nuovo. E adesso, in questo istante macerato e spento da chi trae la sua effimera progressione speculativa e animale su quei soggetti che della esistenza piovono nettare di lacrime, levità ibrida di gioia, chi porrà più attenzione all’insonnia di un complicato delitto ininterrotto e ai tempi arreso nei limiti definiti dalle ime congruità memori sulla canizie della parola?
(06/12/2021)