Dalle terre di Zàbulon e Nèftali al territorio d’Aprile
In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.
Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.
(Is 8,29b-9,1)
Un’aria insana, un’atmosfera delebile, un clima avverso. Era stato arrestato Giovanni, colui che aveva visto discendere lo Spirito Santo su Gesù di Nazareth, l’Unto di Dio, secondo quanto gli era stato predetto da Chi lo aveva mandato a battezzare le genti. Già, Giovanni. Un uomo scomodo, molto scomodo al re di quel tempo, poiché parlava apertamente e con schiettezza e pieno spirito di verità annunciava, esortava, predicava, e severamente ammoniva. Lui, ultimo profeta per il popolo dei popoli, doveva conoscere la sua diminuzione a fronte della piena maturazione del Fiore vero. Lui, lampada ardente per scaldare gli uomini gelati dalle tenebre, sapeva che avanti a lui c’era chi già era prima di lui, la Luce vera. La morte del Battista fu un compimento della volontà di Dio. Ma questa verità è scomoda, molto scomoda anche ai re di questi tempi. Un’aria insana, un’atmosfera delebile, un clima avverso. Molto probabilmente le speranze di tanti furono trucidate e come spesso accade la verità venne soppressa per far posto all’ignobile, ovvero al debole, al male. Ma Dio non si fa attendere poiché egli è ovunque e sempre. Egli non proclama. Si fa annunciare. E un’altra verità ancora più scomoda è che Dio è il vero annunciatore. Dove poteva rinascere quella speranza se non in un luogo impervio, in una terra di nessuno, tra quelli che oggi facilmente chiameremo un covo di terroristi e vite bruciate molto spesso da un esercito di un impero romano che di tanto in tanto faceva la sua comparsa e compiva la sua annichilente strage-ricordo giusto per avvivare in quegli uomini la realtà che doveva soddisfare il loro patto con la ragione ed il terrore, con la coscienza e l’inquietudine, con l’intelletto e la paura. Una mortificazione costante. La Galilea delle genti, dunque, era quel posto. Quasi un luogo del non identificabile. Troppo lontana dalla Gerusalemme bene, dai templi e dai luoghi dove si esplicava il culto, ad esempio, o dove non lo si esplicava affatto, lì dove i gentili e i pagani avevano il pugno alzato in segno di riverenza verso se stessi confusi col regno, l’impero ed il male. Giovanni viene ammazzato. Gesù comincia la sua predicazione da lì, dal luogo indicato circa seicento anni prima dal profeta Isaia, nel territorio dove sorgevano Zàbulon e Nèftali, sobborghi a dir poco pericolosi, mondo estremo di confine, e lo fa con le stesse parole con le quali il Battista esortava e battezzava le genti: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. Già. Era lì quel Regno. Era in Gesù. Lo stesso che chiamerà di lì a poco i primi apostoli nei porticcioli per far sì che non togliessero dal mare il pesce per farlo morire bensì per prendere dalla strada gli uomini per farli rinascere. Pescatori di uomini. Quale migliore carezza, quale sentenza già iscritta, quale trionfo del bene! Ma la storia deve riconoscere che non può conoscersi. Così Gesù Cristo, per volontà Paterna, conobbe la morte per tutti noi. Un salvatore ucciso, molti dissero. Un Dio con noi ci è stato annunciato, invero. Quello stesso Dio che attraverso l’azione dello Spirito Santo, mistero Trinitario, oggi come ieri ci indica la via, la verità e la vita. Sì, perché nel bene e nel male siamo divenuti tutti pescatori di uomini, che lo vogliamo o no. Noi siamo i redenti, il sangue che brilla nelle nostre vene appartiene al figlio di Dio e noi non possiamo odiare il nostro sangue, sarebbe innaturale. Una luce. Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Che la giustizia concluda il suo percorso fino a giungere nel territorio d’Aprile, lì dove sorgerà la santa città.
(23/01/2023)