Distruzione, calamità, pace
Figlio dell’uomo, purifica i tuoi occhi poiché vedrai il destino dei superbi, delle nazioni, oggi che i miei figli soffrono con le stesse doglie delle distruzioni e delle calamità, in questo secondo giorno dell’undicesimo mese del ventitreesimo anno della duemillesima età, alla dodicesima ora di una storia già scritta.
Tu vedi, ecco,
aprire il cielo
come un enorme libro
avanti a te.
Sono forse lettere,
numeri,
quelli che i tuoi occhi
riescono adesso a scorgere?
O, piuttosto, non sai
che ti sei immerso
nel Verbo della vita,
aldilà dei conflitti della creazione,
mentre il cuore tuo geme
nel sangue della verità
il quale apertamente legge
con la tua voce,
appena rinvenuta,
le memorie antiche e nuove
dell’intera umanità?
E mentre il Signore Dio,
assiso nella maestà
della sua Gloria
ancora mi parlava,
io vidi, ecco.
La metà
della popolazione mondiale
cadere.
Cadeva
perché la si faceva inciampare
tra dosso e terrapieno,
baluardo e barricata,
per venire, poi,
ferocemente calpestata,
trucidata.
Osservando
quella scena inosservabile
le mie labbra divennero livide
mentre il mio respiro
conobbe la contrazione
del crepuscolo dell’anima
e tutto mi divenne tenebra.
Caddi bocconi
e mi piegai nel destino
della stessa umanità,
tra il distacco del pensiero
e la congiuntura della giustizia.
Giacqui su di un fiume
sospeso nell’aria
diviso tra due territori
sui quali si era appena eclissata
la luce della ragione.
E uomini di diverse nazioni
presero a salire
la scala della superbia
con alle mani vanghe di metallo
e cominciarono a scavare
una fossa sconfinata
per il fiume dove, immobile,
io giacevo,
tra ossigeno e azoto.
Ma non ebbero salito
nemmeno pochi gradini
che sentii rinvenire in me la vita
e io vidi, ecco.
Dal cielo aperto come un libro,
avanti a me
scesero lingue
di diversi popoli
e furono misurati
i due territori,
lì dov’era sospeso nell’aria
il fiume.
Una voce cominciò a scrivere
tra le acque le parole
distruzione, calamità, pace.
Non ebbi nemmeno il tempo
di leggere la prima delle tre parole
che la terra dei due territori
si spalancò ingoiando molti,
quasi tutti coloro
che erano presenti:
vivi e morti.
Io guardai,
sospeso sul fiume
sospeso nell’aria, ed ecco.
Grande devastazione, ovunque,
seguita da terribili lamenti
di mammiferi quadrupedi
che volavano all’intorno.
Poi una sequenza sterminata
di lettere e numeri
mi si presentò innanzi.
Ma era così vicina
ai miei occhi
che non riuscivo a interpretarla.
Ad un tratto
udì la voce del Signore,
assiso nella maestà suprema
della sua immensa Gloria,
che ordinava
ad uno simile a un essere celeste
di farmi scendere
da quel fiume sospeso
tra i due territori
attraverso la via della memoria
antica e nuova dell’intera umanità.
I miei occhi furono purificati.
Mentre scendevo
numeri e lettere
prendevano forma e sostanza.
E sangue, sangue
e ancora sangue
i miei occhi calpestarono
con misericordia e pietà.
Una misericordia ed una pietà
che non potevano essere miei
mentre correvo, adesso,
sempre più veloce,
verso le verità più nascoste,
sconosciute,
lì dove ad attendermi
v’era l’amato mio,
Colui che mi aveva riserbato
dalla distruzione e dalla calamità
per farla intendere alle orecchie
dei capi e dei governanti
di tutte le nazioni:
l’Autore della vita.
E nel suo amore
io mi lavai
per due notti e tre giorni,
aiutato da una moltitudine
di esseri celesti,
perché le mie vesti
sarebbero poi state elevate in aria,
verso i cieli aperti,
come vessillo di pace.
Una pace trasfigurata
nelle mie volontà
che appartenevano
uno nell’altra, tutte,
al Signore Dio
che ancora contemplo,
in questa dodicesima ora,
a cieli spalancati,
assiso nella superna maestà
della sua infinita Gloria.
(02/11/2023)