Non stringerti al seno
alcuna catastrofe.
Sei una stagione fallita,
il desiderio di un tempo
che più non ode,
che più non ha voce
e che fa
del suo avulso respiro
il suo estraniato lamento.
E mentre avanti a te
corre il presente
tu resti ferma
e l’umanità
è nel deforme specchio
che più non t’illude,
ostaggio
dei tuoi medesimi ostaggi.
Hai fretta.
Nel tuo statico andare
vorresti correre
nei tuoi sette vestiti
e smetterli,
uno dopo l’altro.
Che sia la cruna della parola,
istante silente,
nel dettaglio di un fenomeno,
ciò che tu più detesti
si muterà
in antologia di plurali,
elementarità del caos,
e la neve di ottobre
scioglierà il sangue
del riposo innocente
nel tuo definitivo rantolo.
No.
Non stringerti al seno
alcuna catastrofe.
Sei una stagione fallita
e chi viene a te
munge latte avvelenato.
Eppure invano
si costruiranno capanne
attorno
al desiderio di un tempo
che più non è,
invano si attenderà
l’ennesima festa.
La gioia è oramai passata.
Ovunque si balla e si mangia.
Dovunque si canta e si muore.
È cessato ormai il sabato.
(09/10/2023)