È la necessità intima di stringersi al seno della parola
È la necessità intima
di stringersi al seno della parola,
una sequela di sequele
che scorrono dentro di noi
come fossero latte.
Oh, amore!
Dammene ancora.
Ho sete della tua sete
mentre del tuo sogno vivo
e del tuo vivere
ecco adesso che io sono.
Paura.
Questa più che ingenua
realizzazione dell’esserci,
dell’aversi accanto
semplicemente per realizzarsi:
è con essa
che si moltiplicano le forme
poiché anche dagli essenti
l’uomo trae
bramosia e linguaggio
per i suoi significanti.
E ancora.
Gioia,
gioia d’una coraggiosa letizia
nell’affrancarsi al niente
prima di consolidarsi al sublime
in una trasposizione del genere
che frammenta il sibilo celeste
perpetuato dalla nostra unità,
rugiadoso vincolo di libertà
dapprincipio sposseduto
per poter essere incarnato
di là dei mondi
costituiti non solo
dalle ombrosità del nettare
precipitato
dalle reciprocità violente
degli uragani
o dalle nuvolaglie sparse
sui più immoti mari.
E andare via,
al tutto abbandonarsi
nell’improvviso istante,
quando la levità
nella quale ci abbeveriamo
lo rende preda
della sua medesima storia,
canzone di una silenziosa favola
cascata dalle mani di una sola,
tutta creatura
che dalle nostre attese
attende il primo chiarore dell’uomo
nel mugghiare inverso e luminoso
dell’opposto cielo
per investire d’infinito
la sua alleante anima.
Come il ripetuto chiedere
d’un fanciullo
che accoglie come un giogo
i nostri giorni,
le nostre vicende
fattesi ormai carne,
con la sola voce
della sua memoria
divenuta
nostra illimitata consonanza.
Ho sete.
Amore,
dammi sempre da bere
di quel cibo che non temo,
stretto a un seno
che ci magnifichi
alla sequela
di quella parola che mai muta,
che mai gonfia.
Come fossimo noi latte…
(25/07/2023)