Ecco l’uomo. Non più opera delle mie mani
Ecco l’uomo. Il suo capo rivolto verso l’alto in segno di sfida e di irriverenza, a sfidare il cielo senz’alcuna dignità per la sua stirpe, per la sua prole, per i suoi padri, col suo fare inutile da sovrano. Egli si aggira di notte, orgoglioso di se, dei suoi beni e del suo potere, pronto solo a tendere i suoi terribili lacci ai giusti, agli innocenti e a coloro che, amandolo quel cielo, gli arrecano danno e fastidio, lacerando l’immagine sua di uomo innanzi al popolo tutto. Quale castigo stabilisce per i retti di cuore egli solo lo sa, o almeno crede. Mortifica e punisce, di catene opprime e di morte offende l’esistenza che non gli è mai appartenuta. Si gonfia nelle assemblee, nelle piazze, nei palazzi, nei comizi, mai sazio di denaro, di potere. Crede di raggiungere felicità e altezza grazie all’idolo che lui stesso si è fabbricato: oro, armi, sostanze. Dice tra se: chi può vantare tra gli uomini la mia forza e chi potrà mai turbare mai la mia condotta che rende sottomessi perfino i più influenti miei nemici? Cosa ne sa, chi abita nei cieli, di tutto questo e cosa potrebbe farmi colui che pur sedendo in trono si dimentica dei suoi figli? Ecco l’uomo.
Ed io di costui dapprima me ne arrido e poi rinvigorendo la sua fame di potere, il suo orgoglio, mostro agli insensati suoi seguaci quale fine già lo attende. Crede di dormire il sonno dei tranquilli, ritiene di bere il vino predestinato ai prodi e si persuade, nella sua perenne sete di vendetta, di ottenere il favore delle sue compagne tenebre. Questi è il vile dei vili, ed io mi compiaccio della sofferenza dei miei figli poiché sono provati come argento nel crogiuolo da me stesso. Lascio che piangano sul loro giaciglio, che bevano il veleno destinato agli animali da macellare e, coll’ascesa delle tenebre, mie creature, spesso li lascio vagabondare tra i lacci di chi si è scavato la fossa da solo. Sì, la fossa da solo. Dopo il loro tormento interiore e ancora dopo la loro agonia, mostro al mondo, a questo mondo popolato da troppo assassini, da esseri indegni di portare sul loro capo perfino un qualsiasi nome, quale sorte ho preservato a detti empi, generazione costante di vipere, di perversi, polvere sparsa nel marasma di una quasi sconfitta terra. Io sono colui che percuote con braccio forte, l’unico che può considerarsi come potente, i capi, i loro figli, gli oppressori, coloro che annientano di continuo le nazioni, e sono colui che innalza i semplici, facendoli sedere al posto dei re. Io sono colui che non smette mai di abbeverare colui che ha sete pura e che sfama l’affamato ripudiato dalla gente. Il mio cibo è la vita eterna. Soccorro il mio popolo poiché sono il misericordioso e non dimentico le mie parole poiché le pongo sempre innanzi alla mia alleanza. Mi compiaccio dell’opera di mio figlio, consigliere ammirabile, l’unico che può vantarsi di essere il primo e l’ultimo senza vantarsi di essere uomo, poiché è mia immagine, unito in me e come coloro che ho destinato come suoi fratelli e sorelle. Egli sta già aprendo il libro della vita, sciogliendone i sigilli, poiché la sua giustizia è da sempre. Ogni scempio conoscerà il mio castigo. Guai a coloro che non credono, che non hanno creduto, e che non crederanno alla mia parola. Ecco l’uomo. Non più opera delle mie mani, aggettivo del male e suo adepto nonché mio nemico e, al tempo che verrà, suo accusatore. Nient’altro che un soffio, un soffio che vibra dietro ad un vento che si lascia guidare da una folgore che guizza da un capo all’altro della terra. Un soffio dalla luce inguardabile che già rincorre le sue indegne opere. Abbiate coraggio, fede e speranza, voi tutti che incarnate il mio regno.
(19/01/2022)