Questo terribile timore,
consapevolezza di sottostare
alla caducità dei corpi,
che lega l’uomo alla legge,
compartecipe della sua dinastia,
è, di fatto,
una decisa scelta per la carne
più che una condizione dell’anima.
Mai ci appartenne questo dramma
che per alcuni è un’ambizione,
per meglio dire una gloria
benché terrena e, dunque,
ancor più vana.
Tu mi hai insegnato
a guardare in alto,
lì dove la paura viene meno
per la complessa elaborazione delle altezze,
oh, cieli!
dove il mio cuore
trova ristoro dalla terrena fatica
e dalla debolezza riparo.
Mi ami, tu,
nelle fattezze dello spirito,
finezza che non trova eguali
nella quale immergo
tutta la mia sostanza sentimentale,
il pathos che vive nel mio vivere
per forza di una volontà altra
la quale,
per mezzo di un’identità rivelatrice,
dapprincipio è mia.
È un ritorno
posseduto ancora dal suo andare,
il mio,
verso l’infinità che ti assolutizza
e che mi ti fa chiamare patria.
Ma sei anche compagna,
sorella, madre,
giacché perpetri nella mia volontà
quella di chi mi ha generato,
rendendola, così,
non più affine ma identica,
donandole il tuo seme di obbedienza,
di ultimata unione, di castità.
Tu sei la verità che allarga
ogni confine degli spazi,
vestendo di grazia
ogni attimo che mi compenetra,
di là delle abitudini e dei dolori.
E questo avviene
nel nome di ogni tuo sacrificio
che vuoi e che voglio
diventi anche il mio.
Amore parlami ancora di te,
essendo tu fiore chino sulle mie labbra
e voce di una voce
che termina per ricominciare,
nel completamento principe
di un medesimo pensare,
di un identico dire.
E quando sarò sciolto
dal vincolo della carne,
dal giogo del sangue,
mi unirò alla felicità
realizzato nella letizia perfetta
nella quale ti glorificherò,
glorificato,
nel nostro amore.
(29/05/2024)