Geo-contaminazioni da preadamitiche consapevolezze
Quando c’è da parlare si parla.
Quando v’è da tacere si tace.
Eppure il vostro tacere
non è mai un tacere,
così come il vostro parlare
non è mai un parlare.
Illusione fuoriesce dai vostri occhi
per accomodarsi, di sbieco,
sulle lingue di chi
non presta l’attenzione dovuta
poiché un soffio di stupore
sono i giorni che vi contano
e il resto della vostra esistenza
non è altro che
putredine e menzogna.
Chi ha rubato la chiave
del mio recinto,
dice Dio, il Signore dei signori,
ha parlato fin troppo
con devoluta volgarità,
opprimendo il pensiero altrui
con violenza e omicidio
poiché la vita si è fatta
tanto piccola in voi
da essere derubricata
come un fascicolo
per capri latitanti
tra quattro mozziconi
sporcati da labbra vipere e gemelle
sui marciapiedi della crudeltà.
Ecco che io sto per addurre
contro di voi
la tempesta dei numeri vedovi
tra le colline brulle
dove sono appostate
le parole superflue, volgari,
dalle quali lascerò tracimare
orfanotrofi di nebbia e cemento
per una rivalutazione
progressiva e costante
di geo-contaminazioni
da preadamitiche consapevolezze.
Sarà come un disgregarsi improvviso
di un’idea nata colpevole,
colpevole di avere avuto natalità
nella mente che parla
quando il tacere incombe
e che tace, invero,
quando la parola soccombe.
Dove sono i tuoi calcoli,
ove le tue astuzie,
le tue ereditate perversità?
Forse non hai creduto
all’opera vista dai tuoi occhi
che non tacciono e non parlano,
oppure non hai voluto
cambiare un percorso di sangue
per uno di giustizia e di pace.
Tu che hai rubato
la chiave del mio recinto,
sin da ora comincerai a contare,
uno dopo l’altro, i miei agnellini
che credevi lasciati
alla loro sorte disperata,
i cosiddetti trasparenti e inutili,
i soli.
Avrai disgusto della tua parola,
dei tuoi calcoli,
della tua astuzia,
e parlerai al singolare
quando ti volterai
contro le tue sorelle.
Ma sarà tardi.
Io sono colui il quale
decide i destini dei popoli
e delle nazioni.
Io le farò divergere,
come un fiume in piena,
verso di te
e nel contempo addurrò
contro di esse
la tempesta dei numeri vedovi
tra le brulle colline
rimaste prematuramente orfane.
Tracimeranno fango,
le acque cambieranno colore
e il colore cambierà il suo sapore
quando spalancherò
le cataratte dei cieli
a sfavore del vostro
mummificato idrogeno da campo,
quando il sole sui corpi meno velati
sembra lasciare il suo bronzeo bacio,
la sua carezza intermittente,
la sua cascata di radiazioni fisiologiche.
La vostra lingua
si chiamerà violacea
e sarà motivo
di maledizione futura tra i popoli
quando dovranno mortificarsi
l’un l’altro
o si dovranno vendere
per un po’ di acqua potabile,
la stessa che di riflesso evade
dalle vostre giacche,
dalle tasche ininterrotte
del vostro depuratore asintomatico.
Perché le vostre opere,
dice Dio, il Signore dei signori,
hanno disgustato
anche i più perfidi aguzzini
e il loro segnale putrido di emergenza
è giunto fino ai miei occhi i quali,
tutto osservando,
nei cieli pigri scriveranno
con campi magnetici
non ancora esistenti e già operativi
la sanguinolenta mia parola verace,
esecutrice prospettica
di tutto ciò che ho realizzato
vegliando su ogni sua teofania.
Come l’irrorarsi di un mandorlo
tra i tre tempi ospitati dalla gioia
intonanti ognuno il proprio effatà
nel battistero della nuova creazione.
(21/02/2023)