I due tramonti nella testimonianza delle tre settimane



Lento, il movimento dell’ora rincasa nel contagio abnorme del nostro infausto avvenire dettato dall’impedito ascolto e dalla fame d’aria dell’attuale. Quante delle parole propizie sono state falciate come erba fuori stagione, non disseccata e rapidamente votata al macero inusuale. Così sarà trattata la casa dei malfattori e dei ladri. Le loro travi saranno strappate, le fondamenta percosse dai venti più impetuosi ed i suoi abitanti riconosceranno la pace come il più prezioso dei beni sulla terra, quello stesso bene che hanno, con inaudita violenza, lasciato vomitare perfino dalla bocca dei malati e dei neonati abortendo in loro la fecondità dell’essere creature dal diritto acquisito prima ancora di essere generate in quanto scritte da sempre nel libro della vita. Oggi ci sono e oggi maturano l’odio e il penultimo sorriso. Domani, come l’erba che dissecca, a mezzogiorno li si vedrà bruciare nelle piazze del loro concepito abominio, nel loro sorriso definitivo.

Perché così dice il Signore degli eserciti, Colui che con il solo respiro dei suoi occhi comanda ai venti e paralizza ogni disegno dei superbi, rendendo vana agli occhi dei popoli la loro misera esistenza:

Ecco, io porrò innanzi a loro

la nostalgia di due tramonti

e la testimonianza di tre settimane.

Vi sarà inimicizia tra i ritmi delle stagioni

e tra le fasi perfette che si alternano tra gli elementi

e tra ogni concausa naturale.

L’ulivo non abbonderà sul becco dei rapaci

e sfioriranno le foreste dove gli stessi

hanno deposto le loro uova

tra le torri abbandonate delle colombaie.

Poiché il pianto della terra

è giunto ai miei orecchi

così come il riso dell’usuraio.

Per un po’ nasconderò il mio volto

ma non la mia mano.

Percuoterò i pastori e i capri,

saltellerà l’ariete della discordia

certo di non essere immolato,

e continuerà a elevarsi impettito il toro,

nel coro dei disonesti,

tra gli squilli inutili delle fanfare.

Il pianto delle mie lacrime:

oh le mie parole inascoltate!

le farò riemergere tra i peggiori,

tra i peggiori dei malfattori,

perché le mie parole

sono spirito e verità

e danno vita al povero, al debole,

e fanno risorgere l’innocente.

Quando la siccità dei due tramonti

prenderà il sopravvento

alla seconda della terza settimana

l’umanità vedrà cadere l’inaudito:

Germoglierà sulla luce vermiglia

un ramo di oro e di zaffiri

ove cresceranno subito sette corna

e dodici stelle cadranno

a tre a tre sull’oscurità del mondo.

Guai a coloro i quali

presso la cui casa piomberanno

le stelle a tre a tre,

guai a coloro i quali

non comprenderanno,

pur avendo inteso,

la parola uscita dalle mie mani

e dai miei spiriti.

Io lascerò mendicare

la loro anima in eterno

nella paralisi della fame

e della sete di vendetta

nella quale hanno da sempre vangato,

e i loro occhi non avranno che lacrime

sul viso dei loro stessi rimorsi

da non poter più asciugare.

Ed ora canta il tuo lamento

a passo d’uomo, figlio del mio non silenzio

e fallo disseccare

come erba che prima non c’era

e che domani c’è,

come chi si ingrassa

per la grande festa che adesso si indice

e domani si annulla.

Muore il tramonto,

le tenebre otturano le stalle dei mandriani

e i vitigni contagiati dall’ora abnorme

danno il loro frutto macero

come sparso sangue nero e violaceo

che si attacca al palato dei rapaci

mentre i loro figli

versano il loro prezzo a suoni d’aria

nel campo degli struzzi

bagnato dal mare dei pellicani.

(20/04/2022)