Ancora intento all’ascolto, ecco. Mi accasciai al suolo, una terra priva di terra, ed ebbi a vedere quale fosse il termine ultimo dei giorni assegnati a questa infertile sabbia dove ogni uomo andava posticipando il suo ingresso nell’incarnata verità, a sette palmi dal suono della tromba a percussione, lì dove sera e mattina trovano spazio, e luce, e ombra per un intimo combattimento, ad esclusa morte e a rielaborata esistenza. Il suolo dove io ero prostrato per i dolori e provato in tutto nello spirito ad un tratto cominciò a guardarmi con martoriata speranza e del tutto privo di ogni condizione di libertà. Aveva, infatti, ovunque io mi girassi, occhi. Erano migliaia di migliaia. Tra oriente e occidente, inoltre, libravano le sue immense lacrime come fossero maestosi stormi di sconosciuti volatili. Seguendo quelle molteplici orbite notai che la loro direzione era richiamata dal cattivo odore emanato dalle carcasse di ogni genere di quadrupedi mentre andavano combattendo la loro battaglia, con tutto ciò che era assimilabile alla mia conoscenza, contro la specie rettile guidata da un enorme, spaventoso drago. Questi aveva due corna sulla lingua ed una coda lunga centinaia e centinaia di metri. D’improvviso i volatili si accasciarono in gruppi di cinquanta unità, elevate in sconosciute potenze, verso ogni punto cardinale derivante dal mio perimetro umano e si trasformarono in corpi della mia stessa specie. Non mi trovai di fronte ad un grande mistero né vi fu alcun enigma da svelare. Almeno questo andavo pensando, avendo in me la percezione di aver vissuto digià quella situazione quasi inenarrabile anche se l’inquieto ed il profondo si cibarono di me in quei momenti dal gusto reprobo e senza via di ritorno. I corpi, sempre a gruppi di cinquanta unità, in precocissimo tempo conobbero, con le migliaia di migliaia di occhi della terra, una intensa quanto violenta putrefazione. La pelle che non più aderiva alle ossa ricrebbe nell’alternativa dei nervi sfiniti, a loro volta, dalle dimenticate cartilagini. Piansi. Io piansi e con le mie lacrime andavo ungendo i corpi che mi chiedevano aiuto, pietà, conforto. In realtà avevo già pianto quel pianto ed avevo già prestato aiuto e dato conforto a quei corpi, a quei sfiniti e martoriati corpi senza ali e ormai senza neanche più ossa. Una scena indistruttibile ai miei occhi. Mancava ancora la pietà. Era il giorno del drago e della terra, era l’istante dell’acqua e del fuoco, il principiare primo e ultimo del silenzio e della parola. Ancora intento all’ascolto, ecco. Io vidi la gioia. Gioia ricolma di gioia, eseguita con maestria e velocità indefinibile dai sette palmi di quella tromba a percussione. Una mano afferrò il mio spirito: il mio volto tornò a vivere e i miei occhi a sorridere. E mentre una donna stendeva i suoi canti sul fiume immenso che cominciò a scorrere nelle mie arterie io vidi. Vidi la gloria di mio Padre tra i firmamenti tattici dei cosmi e abbracciato alla sua voce provai come un infinito sentimento di compassione accompagnato da uno sterminato bisogno di portar conforto. Ma mi fu chiesto di dimenticarmi della pietà. E la dimenticai.
(04/08/2022)