, poiché adagio mi recai tra i passi colmi di una specie di neve macchiata di nero, puro ghiaccio che mai si discioglieva, nelle disavventure di una sterpaglia che non credevo fosse mia, la vetta. E ascoltai un frammento di ragione farsi avanti, nella eco di una volontà integra e robusta, quando tutto attorno a me il buio collassò nelle sue flaccide fondamenta. Il terrore diede maggiore moto ad un cuore quasi del tutto aspirato da pulsioni terse, genuine, integralmente indorate dalla vertigine del nuovo. Si palesavano in me aspetti coriacei e appassionati i quali andavano alternandosi nelle frazioni di spiccati vortici sensoriali per l’affermazione di concentrati attimi provocanti l’egemonia della futura e mai nuova visione. Il mio animo cominciò a fibrillare per l’onestà del timore più grande, le forze fisiche quasi morsero uno dopo l’altro i miei anni ormai dimenticati e la stagione delle mie parole sembrava debellata dall’irriproducibile dolore, palato che lingua non lascia e osso che pelle non vuole, slogato in ogni suo fattore percettivo da una simbiosi corporea vittima della più greve temperatura dotata in se dall’esecuzione tacita di più tempeste nervose, immote. Improvviso, il tutto ebbe una cadenza diversa in un tempo sempre più parallelo e gravido di a me sconosciute velocità nella riproduzione del vero, così atteso in ogni sua logica, sembianza, dominio, potenza e discernimento. Così fu che interdissi l’udire. I miei occhi si erano chiusi a princìpi e cause; non v’era alcun movimento fotoelettrico. Cominciai a cantare il matrimonio degli elementi con la loro stessa voce. Aria che mi riaprì le orecchie, acqua che lavò i miei occhi, terra che spalancò i suoi più preziosi frutti e fuoco nel quale, di lì a poco, avrei compiuto l’oblazione umana per mio Padre.
(05/11/2021)