Il mio magnificante amore mi ha partorito ancora
Intrepido nel mio pensare, dire, fare, Iddio mi ha rivolto tali parole affinché giungesse maturo il frutto del mio pensare, dire, fare, a quanti rivolgono il loro capo alle spalle delle sue parole e alzano con orgoglio e superbia l’assuefatto sguardo delle loro opere al cielo, come a sfidare la luce potente del sole, ignari della fine che, così facendo, faranno i loro occhi.
“Figlio d’uomo
stendi la tua mano destra
sul cibo mattutino
che per te nessuno ha preparato
e mangiane la terza parte,
quella più dolce, la più saporita.
Poi stendi ancora la tua mano destra
e di questo cibo mattutino
mangiane un’altra terza parte,
la meno visibile
al palmo del tuo palato.
Infine,
sempre con la tua mano destra,
stendi su questo mattutino cibo due veli
per coprirne le estremità e l’altezza,
veli che ti procurerai
nel luogo che ti ho indicato
prima che tu stendessi per la terza volta
il tuo arto più forte
tra gli escrementi vegetali
di tutti coloro la cui alterigia
ha oltrepassato
l’altezza della mia compassione
e la cui ferocia
ha estremizzato la mia ira.
Prendi, poi, una penna
con inchiostro mescolato al tuo sangue,
sangue che ricupererai
dal morso sul tuo collo
eseguito dal mio stesso dito,
e provvedi a incidere sul tuo dorso,
ancora indenne da ogni ferita da battaglia,
la storia che ti ho raccontato
mentre t’accingevi
a mangiare senza guardare
e ad assaporare senza ascoltare
giacché un torpore amaro
ho lasciato che s’impadronisse
del tuo pensare,
del tuo dire,
del tuo fare.
Bada bene
a ciò che sto per dirti.
Il mio pensiero
non è un pensiero vicino
a quello degli uomini;
il mio dire non conosce
mutabilità di verbo
e non potrà mai tramontare
nel suo stesso dire;
il mio fare, infine,
è un fare che agisce
con la sostanza solida della mia volontà
e non si antepone mai
al mio dire e al mio pensare,
contrariamente alla mia volontà
che è trasfusa in essi.
Bada bene, adesso,
a ciò che io sto per pensare,
o figlio d’uomo.
Potresti mai indagare su ciò
che non conosce spazio e movimento,
dimmi,
oppure andare incontro alla corrente
di ciò che è inconoscibile, eterno?
Il mio dire, però,
secondo la volontà
che io trasfondo nel tuo sangue,
è nel tuo dire e nel tuo fare.
Ed il mio fare, infine,
è un fare che non si antepone mai
al mio dire e al mio pensare
e che agisce con la solida sostanza
della mia volontà.
Una volontà che ho impresso nel mio anelito,
nella genealogia del creato
e che non fiorisce ma sboccia
nel principio del mio principio,
generazione ultima del mio unico verbo.
Adesso alzati,
alzati da questo giaciglio
ove dimora il tuo torpore
e volgi la tua bocca ad occidente
e ad oriente poi,
così come al settentrione e al mezzogiorno.
Rigetta, in ogni direzione,
gli escrementi vegetali che hai deglutito,
nella tua inconsapevolezza,
fino a versare la tua stessa feccia.
Non pulirti le labbra per un’ora,
il tempo esatto
entro il quale l’uomo può e non può,
agisce e si riposa,
vive e muore,
secondo il mio volere.
Hai potuto e non potuto,
hai agito e ti sei riposato,
hai vissuto e sei morto,
o figlio d’uomo.
Trascorra lieta l’ora nel tuo cuore
come trascorra il tuo sangue
nelle vene del mio volere
inciso a fiotti
sul cuore di questo secolo,
nel capo tavolo di questo mondo.
Poiché come il tempo scandisce i tempi
e i tempi scandiscono le umane stagioni
così nessun movimento
e nessuno spazio,
nessun pensare,
dire
o fare
può sfidare la corrente della mia ora.
Sali,
sali sul monte della tua voce
e parla con mitezza e dolcezza,
quella dolcezza che al palato tuo
non era cibo mattutino
bensì sapore,
sapore di quel sentimento antico
che non marcisce ma che sempre fiorisce
e che sempre sboccerà.”
Intrepido nel mio dire, fare, pensare, allattando il mio amato gregge con il frutto delizioso della vergine verità, a purificate labbra il mio magnificante amore mi ha partorito ancora, cielo che si fa carne, nel tempo della sua inaudita e perpetua bellezza.
(08/09/2022)