Il tramonto dell’epoca civile
La prigionia del corpo è un’infamia per lo stolto che si ritiene libero da ogni vincolo che gli può arrecare fastidio o danno. Egli non fa altro che dormire invano, inconsapevole che il risveglio non tarderà a sorprendere il suo vacuo sogno. Si diletta in disordini passionali, inebria i sensi fino a rendere la sua impudicizia immonda compiacendosi della sua nudità in ogni opera svolta per soddisfare i piaceri della carne. Non consapevole di essere sospeso sui lacci della sua origine si lascia andare a dottrine nuove o antiche fondate sul nulla, e ascolta i più stolti (a motivo della sua fallita ragione) seguendone le cosiddette orme, le prime a scorrere nella palude della disonestà. Egli detiene il primato della discordia, aizza la fame della stoltezza, la sete dell’ignoranza tra i suoi prossimi e se ne vanta, se ne vanta nonostante anzitutto su di lui passa e ripassa il tramonto dell’epoca civile. Non si da cura per l’avvenire, ritiene la sua esistenza un frutto dell’occaso da consegnare alla fibrillazione isterica, teorica della scienza o, in altri casi meno rari, crede che sia figlio del peccato, quindi di un desiderio fiorito come un narciso da premiare. La sua condotta blasfema quasi mai lo porta ad una sana e giusta riflessione sul mistero della morte. Già. Per lo stolto la morte è la fine di un viaggio, un paese che non è. In verità egli viaggia sì, da sempre, ma su di un binario morto e il paese che lo attende si chiama risveglio senza vita. Un inferno. Eppure egli attribuisce il suo senso, il suo senso di libertà anche al male commesso, anche se non lo pensa in modo aperto e nonostante la coscienza lo citi ovunque in giudizio. Beato l’uomo che nella prigionia del corpo si compiace per l’operato dell’anima e in terra tutto sopporta. Beato l’uomo.
(31/01/2022)