Il virgulto svellato
La parola del Signore è scesa su di me in questi termini: va’, annuncia al mio popolo quanto oggi ho da dire sulla sua città, la sua grande nazione. E sulla sua terra. Io metto come testimone il popolo stesso, oggi che ho fatto di esso un giudizio e una condanna, e chi disprezzerà la mia parola sarà come colui che vaticina contro se stesso. Chi sarà a giudicare?
Ecco,
ho fatto sì che su di te
piovesse l’acqua senza piovere,
che su di te
splendesse il sole senza splendere,
che su di te
gioisse un popolo senza gioire,
ma non te ne sei avveduta.
Frutto di un germe infecondo,
spuntasti
come un germoglio robusto
ai miei occhi
poiché la mia misericordia
decretò a favore per te.
L’arido suolo che ti accolse
non tardò a ingelosirsi
per i favori
che ti erano stati concessi
e vittima della più violenta
stagione siccitosa
crepò dovunque vi fosse
traccia di terreno.
Ma io sorvegliavo
su tutto questo,
ebbi compassione di te
e ti sradicai
dal suolo arido e geloso
per collocarti nel mio giardino,
un giardino pieno
di fiori e frutti,
di piante ed erbe,
dove il vento
non cessa mai di soffiare
tra un’atmosfera ed un’altra
per il bacio innocente della rugiada.
Crescesti e divenisti
come una quercia impetuosa,
folta di rami e ricca di germogli
e sui tuoi arbusti
gli uccelli posavano i loro piccoli
costruendo nidi e nidi
trovando loro il cibo necessario
per la sopravvivenza.
A te di fianco v’era,
da sempre,
un cipresso poderoso,
ricco di rami e folto di spine.
Alto, più alto del tuo vestito,
sui suoi rami
ogni specie di aquila
trovava il cibo necessario
al sostentamento quotidiano
e con le sue spine
andava costruendo nidi e nidi,
e aquilotti crescevano
senza nessuno infastidire.
Io vegliavo e sorvegliavo
sulla tua condotta
poiché conoscevo il tuo germe,
il suolo che dapprincipio
gli aveva nutrito il verme
e soprattutto sapevo
che dentro te maturavi
la medesima stagione siccitosa
che colpì le aride membra
della tua infanzia.
T’invaghisti della gelosia
e divenne per te
il primo esemplare
che doveva covare
sui tuoi arbusti,
nascosta tra i tuoi rami,
e ai tuoi occhi bucherellati
era la più bella.
Non passò molto tempo
che questa scacciò
tutti gli uccelli
e mangiò i loro piccoli,
distruggendo nidi e nidi e,
libera con lo sguardo,
la tua gelosia
s’invaghì del cipresso.
Ti prese l’ira,
un’ira mortifera
verso il tuo esemplare di bellezza
e con sfrontata invidia
ti rivolgesti all’aquila più bella,
sette volte più grande e folta di piume,
che andava e veniva dal cipresso,
con lo scopo di vendicarti
del tuo primo idolo.
Ma la gelosia fu tanto intelligente
da mascherarsi in una meravigliosa
pianta di rose
e così di spine in spine
l’aquila più bella,
sette volte più grande e folta di piume,
lasciò anche il cipresso
e costruì capanna e nido.
Lo spirito della contesa
non tardò a farsi avanti.
Io osservavo,
vegliavo e sorvegliavo
su ciò che accadeva.
Avevi macchiato il mio giardino,
ormai, con la tua condotta,
e i miei fiori e i miei frutti,
le mie piante e le mie erbe:
quasi tutto era marcito.
Chiamai il vento
ed esso spirò e rispirò
sul mio giardino
e tutto io collocai, per mezzo
del bacio innocente della rugiada,
su quell’arido suolo
dove ancora giaceva
il germe infecondo
che gli aveva nutrito il verme
della stagione più siccitosa
di sempre.
Così sei stata ai miei occhi.
Un virgulto svellato
al quale diedi la possibilità
di maturare
fin dentro al mio giardino.
Ma da mancata primizia
sei diventata una piuma svilita.
Ho fatto sì
che su di te
piovesse l’acqua senza piovere,
che su di te
splendesse il sole senza splendere,
che su di te
gioisse un popolo senza gioire,
ma non te ne sei avveduta.
Questa storia
sia cantata per sempre ai lattanti,
ai giovani, agli anziani
e agli agonizzanti,
in forma di lamento
poiché è la tragedia più grande
che questa terra abbia mai patito,
dice Dio, il Misericordioso
e Signore degli eserciti.
(03/10/2023)