L’ottavo giorno del mese primo, al venticinquesimo anno della duemillesima età in Cristo Gesù, quando il morso delle tenebre dilatava la ferita già incurabile del mondo, la parola del Signore, l’unico sapiente, molto terribile, seduto sopra il trono, è scesa su di me in questi termini:
La stoltezza
prende la misura del tuo tallone
e si fabbrica un abito.
Un abito
che scende corto
sulle tue risa
imbottite di morte e di denaro,
quando senza alcuna fatica
vorresti prostituirti
anche con il vento,
tu che hai fatto
dell’aria che ti respira intorno
carne da macello,
alzando il prezzo d’ingresso
perfino dell’inferno
con dazi da usuraio.
Sei felice,
nel tuo alveo di sangue e di cristallo,
perché non hai mai saggiato,
in fondo al fondo,
la paura
che avrebbe il diritto di sostenerti;
se di diritto, tuttavia,
in fondo al fondo,
è lecito parlarne.
Hai creduto.
Sì.
Tu hai creduto
di poter fare tua
ogni proprietà.
Ma, non ancora sazio,
tu hai preteso
di violare il sabato.
Ecco.
La mano del Signore
è sul paese che abiti.
Oracolo del Signore.
Ti sei ingrassato
per il suo giorno peggiore.
Quando metterai
dinanzi a tutta l’umanità
la tua mano sulla mia bocca
per una seconda volta,
e ti costringerò a fare questo
perché potere significa amore,
mi starò già lavando i piedi
nei miei catini,
i golfi artici dell’immensità,
lì dove angeli cantano
le mie vittorie
col mio stesso nome.
Quanto a quel giorno,
in quel tempo,
anche i cani,
io ti assicuro,
avranno ciò che gli hai negato:
il tuo sangue,
la parte che si sono scelti
con la bava che già ribolle
tra i loro denti.
E questa parte nessuno,
nessuno gliela toglierà,
oracolo del Signore.
Perché tu, oggi,
sei stato misurato, pesato e spogliato,
con la mano di Dio, il Vivente. Che ha parlato.
(08/01/2025)