Nel secondo mese, il ventinovesimo giorno del mese, del ventiquattresimo anno della duemillesima età, alla ventitreesima ora di una storia già scritta, la parola del Re, il cui nome è Dio, è scesa su di me, al quarantanovesimo anno, in questi termini:
Eri una vigna feconda
ben piantata
lungo corsi d’acqua rovente,
che mai terminavano
la loro poderosa opera difensiva
e di fruttificazione,
azioni portate avanti
con una amorevole costanza
in tempi che hanno conosciuto
prima che la tua bellezza
la tua valicabile fedeltà.
Come il più prezioso dei gioielli
apparivi ai miei occhi:
e davvero lo eri.
Di zaffiri e rubini
il tuo sguardo,
di diamanti e perle
il tuo portamento,
purificato e legato sette volte
nell’oro di Ofir,
bagnato nel mare inviolato d’Arabia.
Tuttavia giunse il giorno
in cui col tuo sapere
introducesti uomini
alle più inaccessibili vie
di una dottrina illusoria,
fasulla.
E la comunicazione
tra cielo e terra
fu definita scienza,
così come il progresso
è stato utilizzato
come la più grande arma
di destabilizzazione
e di devastazione globale.
Hai sedotto il mondo
e il mondo
si è lasciato sedurre dal male.
Sì,
perché da fiore dei fiori
che eri nel mio giardino
hai dato le spalle
perfino al cielo,
fino a insuperbirti a tal punto
da dimenticarti delle tue origini
e del tuo primo amore.
Eppure la melma
non si stacca dal tuo calcagno
e ovunque ti presenzia,
ben piantata
lungo la storia rovente
che oggi sta per rigettarti
dal suo progetto difensivo
e di fruttificazione.
Esattamente come feci io.
Ti ho lasciato decadere
come un frutto marcio,
buono più a nulla,
nemmeno per essere concime per la terra,
affinché la stirpe
della tua stessa specie
ti ricordasse in perpetuo
come traditore
e su di te
non cantasse un lamento
bensì una canzone:
ecco l’uomo
che ha tradito se stesso
perché si credeva divino,
mentre sul suo collo
la scure del giardino degli angeli
si andava attirando,
per lo sdegno e la collera
che aveva provocato al Signore,
l’unico vero Dio.
Ebbene,
in questa notte
dall’ora ultima e bisestile,
io moltiplico per quattro
la maledizione contro di te:
le armi, la fame, la peste, la distruzione.
Quando si sarà placata la mia ira,
quando, invero,
avrò fatto del tuo cuore
uno stoppino
per attizzare il fuoco
del mio stesso spirito,
allora i popoli tutti
vedranno la mia gloria,
gloria come gloria di padre.
Giuro su me stesso
che tornerà a fiorire
il giardino,
e che i suoi fiori
canteranno e saltelleranno
tra le braccia delle proprie madri,
rinsavite.
Cesseranno gli abomini, ovunque,
sulla faccia della terra,
poiché la terra avrà un volto nuovo,
degno di essere ammirato
da chi quel volto
lo ha desiderato, voluto, creato.
E così,
dopo aver eliminato per sempre
il dolore e la morte,
farò del mio popolo
la mia pupilla, la preziosa,
e della mia terra e del mio cielo
il mio primo e ultimo anelito d’amore,
così come io sono il Signore,
il primo e l’ultimo,
colui che è, che era e che viene.
In quel tempo anche la polvere,
che oggi lambisce
i piedi dei più piccoli
e degli innocenti,
mi glorificherà.
E quel tempo bussa già,
è ormai alle porte,
mi incita chiamandomi col mio santo nome.
Io stesso sarò ad aprire
quelle porte,
io che sono la via, la verità e la vita.
E la porta!
(29/02/2024)